I due giorni di Cicerone a Cales nel 49 a.C.
Marco Tullio Cicerone effettuò diversi “spostamenti” nel 49 a.C.
Nel libro settimo dell’epistolario, si legge che Cicerone lasciò Roma a gennaio del 49 a.C. per raggiungere il basso Lazio.
Il filosofo si mostrò preoccupato e ansioso per l’andamento della guerra civile, incerto se schierarsi con Pompeo o con Cesare.
Inoltre, soffrì a più riprese di una congiuntivite (lippitudo), che lo costrinse a dettare le lettere.
Raggiunta Formia e poi Minturno, partì il 24 gennaio del 49 a.C. alla volta di Cales percorrendo la Via Appia.
Il giorno seguente, l’arpinate lasciò il municipio caleno per recarsi a Capua.
Qui sostò tre giorni per provvedere al reclutamento dietro richiamo di Pompeo.
Il 28 di ritorno da Capua, Marco Tullio Cicerone si fermò nuovamente a Cales.
Dalla sua amata città scrisse un’altra epistola.
Innanzitutto, affermò che tutte le lettere gli erano state recapitate in ordine cronologico, tranne la prima da Terenzia.
Poi, concentrò la sua attenzione su due argomenti:
- la reazione di Cesare dopo aver ascoltato le proposte che Lucio Cesare fu incaricato di trasmettergli
- le intenzioni di Pompeo
Il 3/4 febbraio del 49 a.C., Cicerone da Formia si recò con il fratello in Campania.
Dopo aver attraversato il municipio di Cales, arrivò a Capua, dove era stato convocato per il 5 febbraio dai consoli.
Il 7 febbraio, l’arpinate riprese il viaggio di ritorno verso la sua terra e pernottò nuovamente a Cales.
Dunque, in quel periodo Marco Tullio Cicerone si fermò tre volte a Cales:
- Il 25 gennaio del 49 a.C.
- Il 28 gennaio del 49 a.C.
- l’8 febbraio del 49 a.C.
Ma la sua venuta nella città dell’alta Campania non finì qui.
L’ulteriore soggiorno nella villa di Lepta
Cicerone ed il fratello Quinto partirono il 17 febbraio 49 a.C. per la Puglia con i figli Marco e Quinto.
L’obiettivo era quello di congiungersi con l’esercito di Pompeo.
Ma una volta arrivati a Teano, si fermarono.
Nella città sidicina ricevettero da un messo di Pompeo notizie sugli ultimi spostamenti delle truppe di Cesare.
Pertanto decisero di non proseguire oltre per non rischiare troppo.
Così giunsero nella città di Cales.
Nell’ex capitale dell’Ausonia si fermarono dal 17 al 19 febbraio.
Cicerone dimorò a Cales nella villa di Quinto Paconio Lepta, suo questore in Cilicia.
La notte del 18 febbraio, l’arpinate spedì il suo amico Lepta da Pompeo con delle lettere.
Il 20 febbraio, Pompeo rispose da Canosa, esortando ancora una volta Cicerone a recarsi da lui a Brindisi.
Ma torniamo alla sera di due giorni prima.
Il 18 febbraio del 49 a.C., scrisse da Cales una lunga lettera al suo amico Tito Pomponio Attico.
Scr. in Caleno xii K. Mart. a. 705 (49)
Marco Tullio Cicerone si mostra profondamente combattuto.
In sostanza, si sente come un uomo onesto messo in una situazione in cui nessuna scelta è buona o giusta.
Sente il peso della responsabilità morale, ma non riesce a trovare una via d’uscita eticamente accettabile.
Sebbene l’arpinate sostenga formalmente Pompeo (che rappresenta la causa repubblicana), non approva le sue scelte.
In particolare, l’idea di lasciare Roma e l’Italia senza combattere lo lascia profondamente deluso.
Cicerone si chiede se davvero la parte per cui combatte (cioè il Senato con Pompeo) rappresenti ancora il bene comune o se ormai la lotta sia tra due ambizioni personali (Pompeo e Cesare), senza più alcuna vera base repubblicana.
Le conclusioni della missiva da Cales
Il filosofo romano sente di essere isolato, deluso e frustrato, e non trova in Pompeo né guida né conforto.
La sua sensibilità morale lo porta a riflettere più di altri sulla situazione, rendendolo ancora più turbato.
La missiva termina letteralmente così.
“Mentre scrivo durante questa notte a Cales, ecco le notizie, ecco la lettera.
Si dice che Cesare è nelle vicinanze di Corfinio e Domizio sta a Corfinio con un esercito solido e desideroso di combattere.
Non credo che il nostro Gneo farà anche questo, lasciare Domizio, sebbene avesse mandato avanti a Brindisi Scipione con due contingenti.
Ma sarà disonorevole abbandonare Domizio che invoca il suo aiuto.
C’è una qualche speranza, per me certamente poco fondata, che Afranio abbia combattuto sui Pirenei contro Trebonio, che Trebonio sia stato sconfitto, che Afranio stia arrivando con possenti truppe.
Se è così, forse si rimarrà in Italia.
Io d’altra parte, essendo incerto il percorso di Cesare, poiché si pensava che sarebbe andato o a Capua o a Lucera, ho spedito Lepta da Pompeo con le lettere.
Quanto a me, torno a Formia.
Ho voluto che tu fossi messo al corrente di queste cose e ti ho scritto con animo più sereno della volta precedente, non esprimendo alcun giudizio mio, ma chiedendo di conoscere il tuo.”
Scr. in Caleno xii K. Mart. a. 705 (49)
……..
[7] Sed ecce nuntii scribente me haec ipsa noctu in Caleno, ecce litterae Caesarem ad Corfinium, Domitium Corfini cum firmo exercitu et pugnare cupiente. non puto etiam hoc Gnaeum nostrum commissurum ut Domitium relinquat; etsi Brundisium Scipionem cum cohortibus duabus praemiserat, legionem ei Fausto conscriptam in Siciliam sibi placere a consule duci scripserat ad consules. sed turpe Domitium deserere erit implorantem eius auxilium. est quaedam spes mihi quidem non magna sed in his locis firma Afranium in Pyrenaeo cum Trebonio pugnasse, pulsum Trebonium, etiam Fabium tuum transisse cum cohortibus, summa autem Afranium cum magnis copiis adventare. id si est, in Italia fortasse manebitur. ego autem cum esset incertum iter Caesaris, quod vel ad Capuam vel ad Luceriam iturus putabatur, Leptam misi ad Pompeium (et) litteras; ipse ne quo inciderem reverti Formias. haec te scire volui scripsique sedatiore animo quam proxime scripseram, nullum meum iudicium interponens sed exquirens tuum. (1)
Durante il suo soggiorno di due giorni a Cales, Cicerone non si riconosce in nessuna delle due fazioni in lotta.
In altre parole:
“nessuna delle due parti mi sembra agire nell’interesse della Repubblica: l’una l’ha calpestata, l’altra la sta tradendo.”
Questo pensiero riflette la sua volontà di restare fedele ai propri ideali repubblicani e ai principi morali.
Bibliografia:
1) Marco Tullio Cicerone, Ad Atticum, Libro VIII, 3
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