La lapide di Celerio Giustiniano

La lapide di Celerio Giustiniano

Il rinvenimento della lapide del Vescovo di Calvi, Giusto, risale al 1932.

La pietra marmorea fu ritrovata all’interno di un podere in prossimità delle rovine dell’antica Basilica di San Casto.

La lapide non era collocata su un sepolcro, ma fissata nel terreno verticalmente con il lato corto rotto in alto.

Probabilmente, già altre volte era stata spostata dal suo posto e sollevata.

Quindi si deve concludere che la tomba del Vescovo Giusto era nell’area cimiteriale del Duomo caleno.

E non era neanche sola.

Ogni tanto, lavorando la terra, si trovavano evidenti resti di sepolture antiche e pezzi di lapidi.

Tra loro, una merita tutta la nostra attenzione e curiosità.

È una lastra di marmo rinvenuta tra il 1950 e il 1951, come si apprese dal Dott. Oreste Mancini.

Durante lo scavo, la preziosa testimonianza storica si ruppe in diversi pezzi.

I più piccoli andarono persi.

Invece, la ricomposizione dei quattro maggiori frammenti restituì la quasi totalità dell’iscrizione.

La lapide riportava testualmente:

hic requie(s)cit in sommo pacis Celerius Iustinian-
us qu(i) vixit ann(n)os V; et per ipsum locum vos coniuro
[ne] quis (s)uper ipsium ponatur, quia iste locus a prius sanc-
tus est.

Celerio Giustiniano

In un primo momento, il Dott. Mancini la conservò affissa sopra il terrazzo di una casa colonica, proprio di fronte alla sua abitazione in Via Nazionale a Visciano.

Le dimensioni dell’iscrizione

L’iscrizione è larga 53 cm. e lunga 90, con lettere di cm. 3,5 circa.

I caratteri più piccoli, come le O, sono alti appena 1,5 cm.

Quelle più grandi, invece, ad esempio le T, si presentano di 4 cm. e più.

Dalla croce iniziale manca il ramo superiore e quello sinistro.

Inoltre, si segnala che la prima lettera superstite nella penultima riga è una E.

Così prima mancherebbe solo la N, ma dopo sarebbe saltata la Q.

Il ruvido ed impreciso lapicida diede a tutte le Q una forma di P convessa.

Ciò rileva che parte almeno del testo datogli da incidere era scritto in corsivo.

Esaminando poi la conformazione delle lettere O, P, R e S, l’iscrizione risalirebbe all’epoca dell’episcopato di Giusto, decennio più decennio meno.

Quindi sarebbe da collocare tra la fine del 400 e l’inizio del 500 d.C.

Secondo quanto riportato, Celerio Giustiniano morì alla tenera età di cinque anni.

Verosimilmente il fanciullo apparteneva ad una importante famiglia calena.

I suoi genitori scongiurarono i cristiani di non porre un altro sopra di lui perché questo luogo era santo dall’inizio.

Questa preoccupazione era molto comune fra gli antichi credenti e forse era dettata dal sentimento espresso da uno di loro
ut hunc sepulcrum nunquam ullo tempore violetur,
sed conservetur usque ad finem mundi, ut possim
sine impedimento in vita redire, cum venerit, qui judicatxirus
est vivos et mortuos.
” (1)

Il luogo in cui fu sepolto il fanciullo era detto santo ab antico.

Tale affermazione deriverebbe da prius, come si rileva dal celebre epigramma del pontefice Damaso
hic habitasse prius sanctos cognoscere debes, nomina quisque Pétri pariter Paulique requiris
e dal noto verso di Catullo
sed haec prius fuere: nunc recondita senet quite seque dedicat tibi

Il luogo santo

L’implorazione di rispettare la tomba era accompagnata dalla minaccia dei castighi divini o dalla comminazione di una multa, o dall’invocazione di Dio, della Madonna e dei Santi.

Sulla pietra sepolcrale di Celerio Giustiniano, invece, allo scongiuro subentrò una formula nuova, la santità stessa del luogo.

Ma perché quel posto era reputato santo?

Forse perché era destinato alla sepoltura dei santi, come furono detti anticamente tutti i cristiani.

Secondo diversi studiosi, l’ipotesi è poco credibile dato che il sepolcreto era per gli antichi “locus religiosus” e non “sanctus“.

In quel periodo, poi, i cimiteri non erano ancora chiamati camposanti.

Secondo la tradizione, il primo ad essere chiamato “campo santo” fu quello di Pisa alla fine del 1200.

In quell’occasione, i pisani riempirono il luogo adibito alle sepolture con la “terra santa” del monte Golgota, trasportata dalle navi di ritorno dalla quarta crociata.

Tuttavia, ritengo che la presenza in un’area cimiteriale suburbana di una vecchia basilica paleocristiana e l’aver ritrovata non lontana da essa un’iscrizione recante una citazione della santità del luogo sono buoni motivi per ammettere che già ab antico si venerassero lì le reliquie di qualche martire.

E costui non poteva che essere San Casto.

Tornando alla lapide, attualmente la preziosa pietra tombale è custodita nella bellissima sacrestia della Cattedrale di Calvi.

Bigliografia:
1) John Harvey Treat, The Catacombs of Rome: And a History of the Tombs of the Apostles Peter and Paul, with Notes and Illustrations, Boston 1907
2) P. Antonio Ferrua, Civiltà Cattolica, 1953, pp. 391 e seguenti

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