La retata nazista a Visciano

La retata nazista a Visciano

L’arrivo dei soldati tedeschi sul suolo caleno provocò uno sconvolgimento della vita e delle abitudini delle famiglie.

Tutti i maschi abili dovettero abbandonare precipitosamente le loro abitazioni per nascondersi in luoghi considerati sicuri.

Qui, pur nelle ristrettezze, volevano evitare i rastrellamenti e la deportazione, nella migliore delle ipotesi, a Cassino.

I nazisti reclutavano forzatamente gli italiani al fine di rafforzare la linea “Gustav” e tentare di ostacolare l’avanzata degli Alleati.

Nella frazione di Visciano di Calvi Risorta gli uomini trovarono riparo nelle grotte in località “Cerquelle” ai Martini.

Durante la giornata, i familiari si recavano ai piedi del Monte Grande per portare del cibo ai congiunti.

Lo strano movimento di persone non rimase indifferente alle truppe della Wehrmacht.

Tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre 1943, i soldati presenti sul territorio caleno decisero di intervenire.

Una mattina, verso le 9:30, sei soldati, imbracciando i loro mitra Schmeisser, effettuarono una retata nelle grotte e nelle aree adiacenti.

I teutonici catturarono una cinquantina di persone (un bambino, una dozzina di donne e il resto uomini adulti).

Le persone coinvolte

Tra di loro vi erano:

Arduino Colella, il fratello e la mamma Scolastica Migliozzi chiamata “Scolastra”;

Stefano Migliozzi e la consorte Gioconda Parisi;

Giuseppe Leone, i figli Salvatore, Silvestro, Antonio e Maria, e la madre Maria Vito;

Agostino Elia, il figlio Antonio ed altri componenti della famiglia;

Ersilio Caparco, la moglie Elvira Rossi e il figlioletto Vittorio.

Il bambino aveva solo 4 anni, essendo nato nel 1939.

Nascondendosi nella boscaglia, Mariagiovanna Venticinque, moglie di Giuseppe Leone, e il figlio Nicola sfuggirono alla cattura.

Lo scopo dei crucchi era quello di condurre uomini, donne e anziani a Cassino.

La signora Scolastica Migliozzi, la più anziana dei presenti con i suoi 78 anni, salì in groppa ad un asino.

Il gruppo, messosi in cammino, giunse alla masseria Marrapese, dove i tedeschi liberarono Gioconda Parisi.

La signora riuscì a convincerli che fosse la cosa giusta perché aveva lasciato suo figlio nella culla.

Al contrario, il marito di quest’ultima, Stefano Migliozzi fu obbligato a seguire gli altri.

Gli sventurati, sbucati su via Cappella Raeta, proseguirono in direzione ovest.

Arrivati sulla Casilina di fronte all’attuale deposito Materiale Edili Izzo, continuarono a destra in direzione Cassino.

Dopo aver percorso un centinaio di metri, i soldati decisero a Torricelle di condurre i malcapitati a Teano.

Purtroppo non sono note le circostanze e le motivazioni di tale decisione.

Sulla SP 112, giunti al ponte minato, scesero giù nella parte destra e attraversarono il rio Savone su una passerella di legno.

Il piccolo Vittorio, pur lamentandosi della presenza di un chiodo (“centriegliu”) all’interno della scarpa, fu indotto a camminare a piedi.

I crucchi non consentirono a Ersilio Caparco di prenderlo in braccio.

Arrivati alla masseria De Fusco, i tedeschi fecero saltare in aria il ponte stradale, da essi precedentemente minato.

Una fortunosa coincidenza

Nella fattoria, presero uno “sciaraballo” e legarono l’asino al mezzo di trasporto.

Due soldati salirono sul carretto e obbligarono la signora “Scolastra” a scendere dal mulo.

Gli altri uomini della Wehrmacht con le armi spianate chiudevano la fila.

Percorsi pochi metri, nel cielo comparvero all’improvviso cinque o sei cacciabombardieri anglo-americani.

I tedeschi, vedendo gli aerei, scapparono a gambe levate di fronte alla prospettiva di un bombardamento.

I caleni, invece, svoltarono a sinistra verso Casaquinta, contrada di Teano.

Lungo il tragitto, Maria Vito, legando alla vita anche la parte inferiore del grembiule, iniziò a raccogliere le castagne.

Giuseppe Leone consigliò alla mamma di non fermarsi a fare incetta del prelibato frutto dei boschi.

A Casaquinta incontrarono altri compaesani nascosti nella selva, una zona impervia fuori dal tracciato viario.

Alcuni membri delle famiglie dei “Pilirussi” (Ranucci), e dei “Tammorra” (Ciriello) era intenti a cuocere un maiale in un calderone.

I viscianesi, sbucando a Montanaro, proseguirono la marcia diretti a Sparanise.

Senza trovare intoppi lungo la strada, rientrarono a casa sani e salvi verso le ore 17:00.

L’esperienza vissuta nell’autunno del 1943 lasciò tracce indelebili nella memoria di tutte le persone coinvolte, compresa quella di un bambino di quattro anni.

Ancora oggi, Vittorio Caparco ricorda quei momenti concitati anche in virtù dei racconti dei suoi genitori.

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