La battaglia del 554

La battaglia del 554

Nell’anno di Cristo 554 Cales si ritrovò suo malgrado direttamente coinvolta nella guerra che contrappose l’Impero bizantino agli Ostrogoti nella contesa di parte dei territori che fino al secolo precedente appartenevano all’Impero romano d’Occidente.

In quel periodo, su richiesta dei Goti, discesero in Italia due valorosissimi capitani dei franchi-alemanni, i fratelli Butilino o Buccellino e Leutari.

Con il loro poderoso esercito, formato da gente violenta e spietata, avanzarono senza incontrare apparentemente una significativa resistenza dalla Liguria verso l’Italia meridionale devastando e saccheggiando i territori che attraversavano.

Oltrepassata Roma e giunti nel Sannio, si divisero la loro numerosa armata in due colonne, ciascuna diretta da uno dei fratelli.

Buccellino, con il grosso dell’esercito, s’incamminò sul lato destro della penisola mettendo a ferro e fuoco la Campania, la Lucania e la Calabria (territorio abitato dai Bruzi) fino allo stretto di Messina.

Leutari con la restante parte delle milizie marciò alla sinistra dello stivale, lungo il mare Adriatico per intenderci, devastando le Puglie.

Era estate avanzata allorché Leutari propose al fratello di ritornare in patria per mettere in salvo l’intero bottino di guerra.

Buccellino rifiutò di seguirlo perché determinato a sconfiggere Narsete e a sottomettere l’Italia intera con la precisa aspirazione di diventare il re dei Goti.

Leutari partì con la promessa di inviare aiuti al fratello in caso di necessità.

Messosi in cammino e giunto a Fano, Leutari inviò in avanscoperta 3000 dei suoi uomini con il compito di perlustrare le zone circostanti.

L’armata di Buccellino in Campania

Ma Artabane, seguace di Narsete, e l’unno Uldach riunite le rispettive guarnigioni a Pesaro, nello scorgere il nemico avanzare sulla spiaggia della costa adriatica, si lanciarono in un improvviso ma bene organizzato assalto uccidendone un gran numero.

Tuttavia Leutari riuscì a mettersi in salvo attraversando con enormi difficoltà il fiume Po e condusse le sue truppe a Ceneda, l’odierna Vittorio Veneto, terra di Venezia.

In questo luogo, tutti gli alemanni trovarono la morte, uccisi da un morbo tanto terribile da strapparsi coi denti la carne a brandelli per la disperazione.

Né miglior fortuna incontrò l’altra armata poiché Buccellino, dopo aver devastato e saccheggiato terre, templi ed altari fino a Reggio Calabria, decise di tornare indietro.

Giunto vicino alla città di Capua, si accampò con le sue truppe sulla riva del fiume Volturno in prossimità delle rovine del distrutto centro abitato di Casilino.

Qui lo scellerato duce, avendo al fianco destro il corso d’acqua, eresse sul lato sinistro un possente baluardo lasciando un piccolo spazio per consentire il transito ai suoi soldati.

Inoltre, all’imboccatura del ponte sopra il fiume di Casilino che collegava il Castello con l’altra sponda del Volturno, vi costruì una imponente torre di legno difesa da uomini audaci e ben armati.

Buccellino, senza l’aiuto seppur promesso da suo fratello, disponeva di un esercito di 30 mila uomini contrapposti ai 18 mila imperiali presenti in zona.

Constatata la debolezza del nemico, Buccellino incitò i propri soldati alla battaglia.

Le sue truppe, costituite la stragrande maggioranza da fanti, non disponevano di armi di buona fattura e non utilizzavano archi, frecce, dardi o fionde.

Con la mano destra sostenevano lo scudo e con la sinistra la spada.

In aggiunta, non utilizzavano la corazza e pochissimi portavano la celata in testa.

Lo scontro di Cales

A torso nudo, indossavano dalla cintura fino ai piedi i calzoni di tela di lino oppure di cuoio.

Erano dotati altresì di accette taglienti di ferro da ambo i lati e di angoni, una sorta di giavellotto formato da una testa con barbigli e un gambo in ferro montato su di una mazza di legno.

Intanto Narsete, condottiere delle armate greco-romane, da Roma, ove si era ritirato nell’inverno del 553, discese in Campania e si acquartierò verosimilmente nell’agro caleno, in prossimità del bivacco dei franchi-alemanni.

Agatia Mirineo, poeta e storico del VI secolo, narrava che il generale bizantino dalla sua posizione scrutava l’accampamento dei contendenti e udiva i forti rumori prodotti al di là del fiume.

Narsete iniziò a schierare il suo esercito per opporsi al nemico.

Collocò ai fianchi i cavalieri equipaggiati con aste, scudi e archi leggeri, frontalmente i soldati più forti dotati di corazze e di cimieri ben fermi, talmente ordinati che gli scudi uniti formavano una muraglia, e al centro i soldati più bravi a lanciare le frecce.

Narsete prese posto nello schieramento di destra dell’esercito insieme con Zandala, uno dei suoi funzionari.

A sinistra, invece, Valeriano e Artabane, altri due prefetti, con i loro soldati ai quali il generale bizantino ordinò di nascondersi tra le ombre di un vicino bosco.

Nella piana di Cales, alle falde del monte Callicola (l’odierno Monte Maggiore) Narsete circondò all’improvviso gli ostrogoti e li sconfisse definitivamente.

Purtroppo non ci è dato sapere le conseguenze subite dalla nostra Cales.

Questa vittoria, che pose fine alle grandi operazioni militari della guerra gotica, fu celebrata da Narsete a Roma con maggiore solennità.

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