La Posta Reale

La Posta Reale

Giovedì 25 ottobre 1860 alle 9:30 Garibaldi alla testa di 5000 uomini delle Brigate Eber e Milano della 15° Divisione, delle Brigate Dezza e Spinazzi della 18° Divisione, dei Carabinieri genovesi, della Legione Inglese e di uno squadrone di Ussari mise piede a Calvi.

La lunga marcia era iniziata alle cinque del mattino dalla Scafa di Formicola.

Inoltre, la giornata decisamente calda richiese una sosta nel territorio caleno per far riposare e rifocillare le truppe.

Alle 17:00 Garibaldi ordinò di riunire le sue truppe sparse in zona.

L’obiettivo era di spingersi avanti in direzione di Venafro.

Gli Ufficiali dello Stato Maggiore, senza attendere la cena promessa da Sparanise, iniziarono a radunare in buon ordine nei campi adiacenti Taverna Mele a Visciano i garibaldini dislocati a Zuni, a Visciano, ai Martini di Visciano e il distaccamento di bersaglieri milanesi che presidiava il ponte di Calvi Vecchia.

Nello stesso tempo una pattuglia di ussari ungheresi in esplorazione fece ritorno al comando portando con sé una carrozza.

Era la diligenza della Posta Reale (1) in servizio da Sora a Capua che, senza minimamente immaginare quanto stava per accadere, percorreva tranquillamente la Strada Regia di Venafro (l’attuale Casilina) nel territorio di Calvi in direzione sud.

In essa non era presente alcun passeggero ma solo il cocchiere, un vecchio in grigio, e il postiglione.

La carrozza fu scortata nel cortile della Taverna Mele e affidata alla sorveglianza di un soldato.

Il conducente, condotto nella grande sala della locanda, fu sottoposto ad interrogatorio.

Negò di avere dispacci segreti o denaro.

Le diverse centinaia di lettere

Il poveretto non aveva denaro contante proprio, tranne qualche monetina di rame, che presumibilmente era l’unica moneta in circolazione nel regno borbonico.

Durante la perquisizione, eseguita sotto l’attenta vigilanza del generale Rustow, il conducente tremava tutto per la paura e chiese il permesso di uscire per soddisfare un bisognino corporale.

Due soldati inglesi lo scortarono fuori dalla taverna.

Nel frattempo nella diligenza furono rinvenute diverse centinaia di lettere e un grosso sacco contenente caffè, quest’ultimo particolarmente gradito.

Il conducente e il postiglione furono liberati e tutta la corrispondenza fu consultata in un secondo momento perché non c’era molto tempo a disposizione.

Non furono trovate missive rilevanti per le sorti della guerra ma alcune particolarmente interessanti.

Molte lettere erano indirizzate all’ “Alter Ego” del re, il generale Luigi Douglas Scotti a San Germano.

In quei giorni, però, il generale non si trovava più a San Germano.

Il 20 ottobre, sconfitto sul Macerone, si consegnò prigioniero al generale piemontese Cialdini.

Altre lettere erano state inviate dai ministri.

In uno dei dispacci, il ministro della guerra Francesco Casella concedeva una promozione o avanzamento di grado nell’esercito borbonico.

Nelle missive indirizzate a Scotti e ai ministri di Gaeta le autorità provinciali si lamentavano in tutte le circonlocuzioni possibili della mancanza di denaro, del disordine generale che regnava in alcune province rimaste fedeli a Francesco II, disordine generato da uno dei più convinti sostenitori del re, il colonnello Teodoro Federico Klitsche de La Grange.

La liberazione del vetturino

Le più interessanti, però, erano quelle private dei soldati, degli ufficiali e dei loro parenti.

Nelle missive si mistificavano alcuni tra gli eventi più rilevanti nella guerra tra i volontari garibaldini e le truppe borboniche e si ingannava la povera gente.

Da alcune lettere trovate, per esempio, era convinzione generale in Abruzzo che Francesco II era rientrato nella sua capitale Napoli sbaragliando l’esercito di Garibaldi.

In altre, per reclutare i volontari nei battaglioni di combattenti si promettevano un cospicuo anticipo in denaro, una paga alta e aiuti economici da distribuire alle loro famiglie.

Gli aiuti alle mogli e ai parenti dei volontari dovevano essere elargiti dagli uffici locali delle città e dei paesi.

Ma la spaventosa miseria non consentì ciò.

I racconti erano tristi e commoventi.

In serata Garibaldi fu informato dell’accaduto nei boschi tra Calvi e Caianello.

Il giorno successivo 26 ottobre il vecchio conducente della diligenza postale era stato nuovamente fermato da una delle pattuglie di ussari ungheresi.

Fu rimesso immediatamente in libertà ma questa volta con un salvacondotto.

Note:

1) Ferdinando II aveva istituito negli ultimi anni del suo regno un quotidiano servizio postale fra Napoli e le province attraverso le tre grandi strade per le Calabrie, le Puglie e gli Abruzzi.
In carrozza era consentito trasportare fino a cinque viaggiatori.

© Riproduzione riservata