Pietro Cifone e l’eroico salvataggio di 7 soldati

Pietro Cifone e l’eroico salvataggio di 7 soldati

Pietro Cifone nacque a Rocchetta e Croce il 28 aprile 1894.

Era il terzogenito di cinque figli di Francesco e Luigia Palmieri, umili e modesti contadini.

Nel 1914 fu chiamato alle armi ed assegnato al III Reggimento di Fortezza con deposito a Gaeta.

Il 20 agosto 1915 lo inviarono sul fronte di Gorizia, Carso e Piave.

Il 10 gennaio 1916 fu aggregato alla 77° Brigata dei Bombardieri.

Durante la grande guerra, il Caporal Maggiore si salvò per una singolare coincidenza.

Un giorno, mentre infuriavano i bombardamenti, i suoi commilitoni espressero il desiderio di fumare una sigaretta.

Ma nessuno di loro ebbe il coraggio di mettere il naso fuori.

Pietro, senza pensarci due volte, uscì in cerca di tabacco.

Ritornò poco dopo e si fermò al riparo di un grande masso in prossimità della trincea a dividere le sigarette.

All’improvviso, una granata colpì il ricovero e uccise tutti i suoi soldati.

Questa vicenda segnò in modo indelebile la sua vita.

Tornato a casa, nel novembre 1921 sposò la conterranea Maria Laurenza, dalla quale ebbe dieci figli.

Pietro Cifone e la moglia

La casa a Laureta

La famiglia viveva in una casa a “Laureta” in prossimità della cappellina alla madonna.

Dal fabbricato, ubicato in posizione panoramica sopraelevata e di assoluta quiete, si scorgevano tutti quelli che s’inerpicavano sulla montagna.

Inoltre, la catena montuosa alle spalle forniva al luogo un’acustica speciale, una sorta di megafono naturale che amplificava suoni e rumori.

Stando in quell’aia, si udiva distintamente il chiacchiericcio dei venditori ambulanti che transitavano nelle vie di Petrulo.

Inoltre, si sentivano i discorsi dei ciclisti che salivano e scendevano la provinciale e le voci di coloro che passeggiavano.

Casa_Laureta

Con la porta della casa sempre aperta, Pietro Cifone era solito accogliere gli sconosciuti in una maniera particolare.

Copriva il capo con un cappello di paglia, ma ne abbassava le falde sulle orecchie per sembrare un tonto.

Toglieva per metà la camicia dai pantaloni per dare l’impressione del folle.

Indossava una mantella di lana da donna per apparire anziano.

Metteva in braccio il figlio più piccolo di turno per mostrarsi nonno.

Sistemato sempre in questo modo, usciva di casa per andare incontro agli estranei.

L’arrivo di sette soldati italiani sbandati

Verso la metà di settembre del 1943, anche da quelle parti arrivò la guerra.

Un giorno bussarono alla sua porta sette soldati italiani sbandati.

In quell’occasione, li accolse avendo in braccio la figlia Anna di quasi tre anni, essendo nata il 23 dicembre 1940.

Il gruppo comprendeva il tenente Colasanto di Salerno, l’ufficiale siciliano Giovanni De Caro, Fabrizio Laterza di Policastro, Salvatore Marino di Palermo, Giovanni Fiorentino della frazione Campolongo di Eboli, Antonino Reina di Palermo e Paolo Ferrè.

I militari raccontarono di aver distanziato i tedeschi rifugiandosi su per i monti.

Aggiunsero, poi, che i nazisti erano in giro e sicuramente sarebbero arrivati anche lì.

Pietro Cifone capì la situazione.

In un attimo ritenne opportuno nascondere i sette soldati.

Con loro occultò anche i suoi due figli maschi, Benedetto e Antonio, rispettivamente di 17 e 15 anni.

Se è vero che il territorio è noto a chi ci vive, lui conosceva il posto sicuro dove sistemare i giovani.

Sul lato destro della masseria vi è il versante del Monte La Costa.

Ai piedi della parete scorre il Rio Lanzi che raccoglie le acque piovane della montagna.

In estate è generalmente asciutto, ma d’inverno è una meraviglia.

Lo scroscio dell’acqua sui sassi e sulle radici delle querce si sente da lontano e i saltelli e la spuma della stessa incantano.

Percorrendo il costone verso nord, ci si imbatte in un’ampia grotta.

La grotta dei soldati

Pietro Cifone condusse i giovani e i suoi figli nella suddetta cavità.

I ragazzi di notte raggiungevano la casa per la cena e subito dopo ritornavano nel nascondiglio.

L’arrivo dei tedeschi

Alcuni giorni dopo, come preannunciato dai fuggiaschi, arrivarono i soldati tedeschi.

I crucchi si sistemarono in una stanza al primo piano della fattoria.

Nel locale servito dalla scala, posizionarono le apparecchiature ricetrasmittenti e controllavano il paesaggio sottostante.

La mattina del 20 settembre 1943, il capofamiglia comunicò ai presenti che nella notte la famiglia era cresciuta con la nascita di Ettore, il penultimo figlio.

Pietro Cifone nascose anche le figlie Preziosa e Luigia, rispettivamente di 21 e 19 anni, insieme alle sorelle Italia e Matilde Izzo di Calvi, in un deposito-dispensa.

Nello sgabuzzino interrato, accessibile tramite una scaletta a pioli, si conservava il grano, i fagioli ed altri prodotti della terra.

Per proteggere le fanciulle, sbarrò l’accesso all’ambiente con assi di legno e collocò al di sopra delle balle di fieno.

In seguito, i soldati teutonici si spostarono a dormire nell’aranceto, separato da un muro dal cortile della casa.

Nell’orto era possibile mimetizzarsi tra le fronde degli alberi e tenere sotto controllo l’orizzonte.

I crucchi rubarono via via tutti i polli e le galline del pollaio, lasciando in pace le persone.

Sparì anche una piccola capretta regalata al quindicenne Antonio dallo zio paterno.

Per tutto il periodo in cui i tedeschi sostarono nella masseria, i ragazzi e le ragazze rimasero occultati.

Dunque, il problema di come sfamare i giovani divenne impellente.

In questo contesto, il comportamento del rocchettano divenne audace ed eroico.

A notte fonda, si affacciava per controllare che i crucchi stessero dormendo.

Quando tutt’intorno regnava il silenzio, usciva per portare il cibo ai ragazzi.

L’eroica condotta del Cifone

La moglie preparava un pentolone di fagioli con il pane o tagliatelle con legumi o zuppe di verdure.

Il Cifone avvolgeva nove cucchiai in un fazzoletto di stoffa e lo infilava in tasca.

Poi, legava un telo attorno al collo ed alla spalla a mo’ di bisaccia e sistemava all’interno il tegame.

Usciva e si dirigeva nel retro della casa senza torce fra il buio della notte, abituando la vista a riconoscere l’ambiente circostante.

Dopo aver consegnato il cibo, rincasava sempre con la stessa attenzione.

Se fosse stato scoperto, chissà quali scuse avrebbe potuto addurre.

Ad ogni modo, riuscì sempre a farla franca assistito solo dalla benedizione di Dio.

Nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1943, i soldati tedeschi lasciarono la postazione diretti verso nord.

Passato il pericolo, i ragazzi abbandonarono la grotta e continuarono ad essere ospitati in casa.

In quel periodo, aiutarono la famiglia nel lavoro quotidiano dei campi e nella pratica dell’allevamento del bestiame.

La loro permanenza a Laureta durò una quarantina di giorni.

Il giovane più intraprendente era il palermitano Salvatore Marino.

Egli stesso raccontò di essere sceso una mattina a Petrulo attraversando le strade del borgo affollate di soldati tedeschi.

Entrò nella chiesa di San Nicandro e, nascosto dietro una colonna, cercò notizie sulla guerra.

Al ritorno nella masseria, raccontata la bravata, fu sgridato da tutti.

Aveva messo a repentaglio l’incolumità dei compagni e della famiglia.

Il ritorno dei soldati salvati

I soldati italiani tornarono a casa sani e salvi con la consapevolezza di aver incontrato un eroe.

Prima di lasciare “Laureta“, promisero che sarebbero tornati.

Per diversi anni, di loro non si seppe più nulla.

Ma, un giorno bussarono alla porta della masseria due salernitani e due siciliani:

il tenente Colasanto, Fabrizio Laterza, l’ufficiale Giovanni De Caro e Salvatore Marino.

Con le rispettive mogli, ringraziarono personalmente il Cifone per aver salvato loro la vita.

Salvatore Marino ritornò poi vedovo con la sua unica figlia di 20 anni, ospitato per un mese nella fattoria.

Il palermitano si presentò a far visita altre volte in estate e poi ancora da solo ad anni alterni.

Invece, Giovanni Fiorentino e Paolo Ferrè inviarono delle lettere per esprimergli gratitudine.

Infine, Giuseppe Reina spedì una cartolina di ringraziamento con la foto del fratello Antonino.

Reina_Antonino

Pietro Cifone, Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto, morì il 19 giugno 1984.

Il 4 maggio 2008, in Piazza San Pietro a Roma, Pietro fu proposto dalla Diocesi di Teano – Calvi come testimone di “santità laicale” nella ricorrenza dei 140 anni dell’Azione Cattolica.

L’amministrazione Comunale di Rocchetta e Croce dovrebbe ricordare e onorare la memoria di questo autentico eroe della seconda guerra mondiale.

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