I soprannomi caleni (2° parte)

I soprannomi caleni (2° parte)

Gli appellativi che da secoli solitamente si aggiungevano ai nomi anagrafici erano frutto delle situazioni più improbabili e delle menti più geniali dei nostri avi.

Con una fantasia davvero eccezionale, essi rappresentavano spesso l’identificativo più appropriato per molti personaggi caleni.

In questa seconda parte della ricerca, vi propongo un’altra lista dei nostri soprannomi.

Tabbaccara

Maria Vaienna, originaria di S. Maria C.V., giunse a Calvi nel 1942.
Il suo papà aveva perso una gamba nelle tragiche circostanze del 1° conflitto mondiale.
Così ottenne dai Monopoli di Stato una licenza per poter aprire una tabaccheria.
All’inizio gestiva l’attività in Piazza Gregorio Nucci a Petrulo.
Successivamente si trasferì in Via XX Settembre n. 108 e poi al civico 83.
Per più di sessant’anni è stata sempre al suo posto perché amava stare con la gente.

Barrista

Teresa Capuano apparteneva alla famiglia dei “Carrafuni”.
Nel 1950, aprì un negozio di generi diversi in Piazza XXIV Maggio diventata poi Piazza San Paolo.
Diversi anni dopo, trasformò il negozio in bar dopo un accordo con zi Michele Zona.
Il locale, collocato al centro del paese, era un luogo di ritrovo di tutte le generazioni calene.
Ter’sina a barrista (doppia erre) ha gestito l’attività per quarant’anni fino al 1990, sponsorizzando tornei di pallavolo, basket e calcio.

Rospo

Antonietta Izzo svolgeva l’antichissimo mestiere di contadino a Petrulo.
Nelle calde estati calene raccoglieva le spighe di grano.
China sui campi e con movimenti oscillanti delle gambe, sembrava proprio un rospo.

Prima parte

Pisciaiulu

Simone Santillo di Petrulo emigrò negli Stati Uniti d’America in cerca di fortuna.
Ritornato nel suo paese natale, si recava a pescare nell’Agnena e nel Rio Lanzi.
Ogni volta portava a casa sporte piene di anguille, tinche, amariegli (crostacei di acqua dolce), ranonce (ranocchie) e ruelle (alborelle).
I prodotti ittici servivano essenzialmente a soddisfare le esigenze personali o di famiglia.
Ma considerata la grande quantità di pesce, la sorella Concetta Santillo e sua moglie Maria Bonacci lo vendevano ai privati.

Fammon’

Vincenzo Izzo era il capostipite di una nota famiglia petrulese.
Nella sua vita si procurò la nomea di buona forchetta, essendo amante del cibo buono e abbondane.
Un giorno, durante la pausa pranzo, i suoi operai iniziarono a stuzzicarlo.
Con una calma serafica, Vincenzo scommise che avrebbe mangiato tutte le loro “mbustarell”.
Ed infatti riuscì a divorarle tutte.
Uno dei suoi dipendenti esclamò testualmente:
“Cazzo, chesta nun è famm’ ma è fammon’

Zimaniac

Il grande portiere Giuseppe Porrino preferiva rivestire il ruolo di centrocampista nelle partitelle tra amici.
Era soprannominato “Zimaniac” perché aveva caratteristiche fisiche e tecniche simili a Horst Szymaniak, forte centrocampista di Catania, Inter e Varese.

Mannes’

Giuseppe Ventriglia era un rinomato artigiano.
Grazie alla sua abilità nel lavorare il legno e il ferro, riusciva a costruire e/o a riparare i “traini” (carretti).
In pratica, era il meccanico del tempo nell’epoca in cui i mezzi di locomozione erano per lo più carri e carrozze.
Tutti lo chiamavano “mastu Peppe u mannes’ “.

Seconda parte

Z’r’nella

Luigi Bovenzi di Petrulo lavorava per conto SETAC e poi ENEL alla lettura dei contatori e alla riscossione delle bollette.
Contestualmente, aveva delle capre nel proprio giardino.
Di solito le chiamava z’r’né, z’r’né.
Sentendo ciò, i petrulesi lo chiamarono amichevolmente z’r’nella.

Toro

Mario Izzo è molto conosciuto In paese.
Per diversi anni ha lavorato al Conad in Via Nazionale.
In età giovanile, era un amante del gentil sesso.
Tuttavia, non è dato sapere se avesse anche altre doti nascoste.

Pecuramoscia

Gaetano Capuano era il papà del geometra Giovanni.
La sua caratteristica principale consisteva nel camminare piano piano.
Ma ogni volta che doveva fare qualcosa che non gli piaceva, rallentava ancora di più il passo.
Questa sua caratteristica lo accompagnò per tutta la vita.

Ciaccone

Saverio Parente produceva un buon vino.
Solitamente per segnalare la vendita della bevanda, metteva fuori al portone una frasca.
L’insegna ante litteram era uno stralcio di vite, le cui foglie (come quelle dei fichi) erano chiamate ”ciacconi”.

Zurru

Verso la metà degli anni ’60, Antonio Izzo all’età di 12/13 anni lavorava a fianco alla trebbiatrice di Natale Elia.
Un giorno, Giuseppe Elia gli diede filo da torcere, sbeffeggiandolo pesantemente.
Esasperato, Antonio tentò di infilare la testa del malcapitato tra il rullo e la cinghia che serviva a movimentare l’imponente meccanismo della trebbiatrice.
Natale e i suoi familiari corsero immediatamente e sfilarono Giuseppe dalle mani di Antonio.
Rivolto a quest’ultimo, uno di loro esclamò:
“Si propriu comm’ a nu zurru”.

Terza parte

Pezza

Zi Ernesto Nassa e la moglie Vincenza Palmieri abitavano in una masseria vicino all’attuale frantoio di Milite.
La località era chiamata “Pezza”.
Quindi, il loro nomignolo derivava dal luogo ove abitavano.

Pratariello

Zi Natalino Nassa e la propria consorte dimoravano sotto lo stesso tetto in prossimità dell’odierna Sosta Calena.
La località era chiamata “Pratariello”.
Dunque, come il fratello, il loro soprannome scaturiva dal nome dalla zona dove vivevano.

Capputtiegliu

Giuseppe Colella era di corporatura robusta e di statura alta.
Un giorno indossò un cappotto striminzito, stretto di spalle e corto sulle gambe, mentre lui era molto alto.
E tutti gli sussurravano la stessa cosa:
“Che e fa cu stu capputtiegliu“.

Castagnaru

Il sig. Nicola Suglia si recava al lavoro avendo ai piedi un paio di scarpe.
Al ritorno, per preservarne la suola, era solito camminare scalzo.
Invece, le scarpe, legate tra loro dai lacci, le portava penzolanti al collo.
Dunque, sembrava che portasse “l’ nzert ‘e castagne” intorno al collo.
Una sera tornando a casa, la mamma gli disse:
“M’ pari proprio nu castagnaru“.

Maestru

Zi Gaetano Petrone era un uomo acculturato e amante delle arti.
Spesso leggeva e scriveva le lettere alle persone analfabete.
Una volta, addirittura, sostituì un maestro di musica assente al concerto bandistico nel corso della festa del paese.
Da allora lo chiamarono “u maestru“.

Quarta parte

Fraulella

Flavia Leone era una bella bambina.
In particolare, aveva un sorriso radioso, incorniciato da due belle guance rosse.
Una signora, toccandone una, affermò:
“m’ par’ proprio na fraulella” (una piccola fragola).

Str’zz’chea

Vincenzo Ciriello, da ragazzo, era insieme ad un gruppo di amici.
La comitiva stazionava fuori ad un bar.
A un certo punto, iniziò a cadere una pioggerellina sottile.
Il giovane esortò gli amici ad entrare nel locale dicendo:
“uagliù, iammucenn’ rentu che str’zz’chea“.

Fraulese

Nicola Lanzano era originario di Afragola in provncia di Napoli.
In giovane età si trasferì a Calvi.
Tutti in paese lo associavano al suo luogo di provenienza.

Giossu

Giuseppe Mingione emigrò a 13 anni negli Stati Uniti d’America.
Fu soprannominato Giossu oltreoceano perché verosimilmente era un proprietario terriero.
Infatti, ritornando in Italia, comprò a Visciano 16 moggia di terreno.

Collatuozzu

Tre componenti della famiglia di Arcangelo Migliozzi sfidarono tre contadini di Giano Vetusto.
La scommessa consisteva nell’impiegare il minor tempo possibile a rivoltare il fieno.
Mentre i tre gianesi persero dieci minuti per mangiare seduti comodamente a terra, i Migliozzi ingoiarono letteralmente le “tozzole” di pane stando in piedi.
Il sotterfugio messo in atto gli consentì di aggiudicarsi la sfida.

Vaccarella

Caterina Ciccarelli abita a Visciano ma è originaria di Sparanise.
Sua mamma si chiamava Rosa Vacca.
I viscianesi identificavano la ragazza con il diminutivo del cognome di Rosa.
Da allora “Catarina Vaccarella“.

Quinta parte

Bommavasciu

Andrea Monfreda è stato il primo caleno a maneggiare fuochi d’artificio.
A volte proponeva degli spettacoli pirotecnici con bombe carta che non scoppiavano nel punto di massima altezza.
Quindi Andrea Bommavasciu derivava da ordigno (bomma) esploso a bassa quota (vascio).

Spiritracculu

Pietro Caparco era un omone di Visciano.
Nei mesi invernali si vedeva la sagoma di questo gigante avvolto in un mantello nero.
Questo suo modo di vestire gli faceva assumere le sembianze di un fantasma, un essere sovrannaturale.
Ed ecco quindi il soprannome spiritracculu.

Quariegliu

Luigi Canzano era un personaggio conosciuto in paese.
Simpatico, divertente, allegro, fu il primo operatore ecologico caleno che raccoglieva i rifiuti con un carretto trainato dall’asino.
Per la sua bassa statura, i concittadini lo accostarono ad una piccola quaglia.
Infatti, lo chiamavano quariegliu.

Sparafatiche

Un certo Giovanni Parente era allergico ai lavori nei campi e nelle stalle.
Durante il periodo della semina, la mamma gli consegnava i chicchi di grano.
Lui invece di spargere i semi su tutto l’appezzamento, li sotterrava in pochi centimetri quadrati di terra.
Ma una sera la fece davvero grossa.
Afflitto e sconsolato, fece un mucchio di attrezzi agricoli e li bersagliò con colpi di fucile.

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