Il fallito assalto dei garibaldini

Il fallito assalto dei garibaldini

La mattina del 16 settembre 1860, Garibaldi affidò al generale Stefano Turr il comando dell’esercito sul Volturno.

Il Turr, d’accordo con il dittatore, progettò di tagliare le comunicazioni tra Capua e Gaeta.

Lo scopo era di occupare la strategica Calvi e di fomentare la rivolta al di là del Volturno.

Il piano prevedeva di far passare alla scafa di Dragoni il maggiore Michele Csudafy con trecento uomini.

Le istruzioni impartite per iscritto da Garibaldi al comandante chiarirono gli obiettivi della missione (1).

Fallito assalto dei garibaldini

Dal quartier generale di Caserta, la sera del 16 settembre 1860, partì questo manipolo di uomini comandati dall’ex ufficiale ungherese.

Il giovane condottiero, già al servizio dell’Austria, aveva dato prova di se in più di un campo di battaglia.

In gran segreto dovevano marciare sulle sponde del Volturno incrociando la scafa di Dragoni, continuare verso nord e svoltare ad ovest, facendo un rapido movimento verso Teano e Calvi.

A sostegno dell’operazione, predisposero ulteriori truppe per attraversare il fiume in un altro punto e impadronirsi di Caiazzo.

Inoltre, si rese necessario attirare l’attenzione dei soldati borbonici altrove, simulando un attacco generale contro Capua.

Per tenere impegnato l’esercito regio furono schierate diverse brigate.

A ciascun comandante assegnarono il ruolo da svolgere sul teatro di guerra.

La marcia delle camicie rosse

Da Caserta, lo Csudafy raggiunse Maddaloni verso le ore 21 del 16 settembre.

Ripartì per Dugenta, ove sostò fino alle sei del mattino del giorno seguente.

Dopo aver ripreso la marcia, alle 8:00 giunse ad Amorosi con la truppa.

I soldati furono riforniti di viveri e riscossero il soldo.

Alle 13:00 inviò un reparto di bersaglieri a San Giovanni e Paolo, frazione di Caiazzo.

La compagnia attraversò il Volturno ma non entrò nel villaggio e a Caiazzo perché le località erano presidiate dall’esercito borbonico.

Così, vista la situazione sul campo, ordinò alla medesima di ripiegare.

In seguito, avanzò prima verso San Salvatore Telesino e poi si fermò a Faicchio.

Il giorno 18, risalì il Volturno lungo la sponda sinistra e verso mezzanotte passò il fiume “sopra carri allineati che facevano da ponte” (2) presso Dragoni.

Qui, dopo una breve sosta, si diresse verso Roccaromana e Pietramelara.

Ai 300 garibaldini di Csudafy si unirono solamente 50 volontari locali.

La Legione del Matese, richiamata in loro aiuto, giunse a Piedimonte solamente il 20 settembre con diversi caleni, tra i quali Nicola Santillo, il Barone Girolamo Zona e il Conte Michele Sanniti.

Tuttavia, il numero delle camicie rosse costituiva ben poca cosa di fronte all’imponente esercito borbonico.

La battaglia di Roccaromana

Nell’alto casertano, verso mezzogiorno del 19 settembre, i volontari dello Csudafy si scontrarono con i regi.

Dopo aver sostenuto uno scontro a fuoco per alcune ore, dovettero ripiegare per il sopraggiungere di soverchianti forze nemiche.

A Roccaromana scrisse Csudafy:

avevo 2 sole compagnie, quella del capitano Racchetti a destra e quella del capitano Rosario a sinistra.
Questa respinse i regi fin fuori dal paese; l’altra per altra strada arrivò quando il nemico si rinforzava da Pietramelara.
Unitisi i regi, essi furono respinti per buon tratto, ma per i continui rinforzi del nemico ci ritirammo, avendo a soffrire anche della popolazione a noi contraria.
Capo di essa era il prete di Roccaromana che per primo ci tirava delle fucilate per dare esempio ai suoi paesani
” (3)

Purtroppo per loro, i garibaldini in quell’occasione non riuscirono a raggiungere Calvi.

Il dittatore aveva sperato in una più numerosa adesione alla rivolta contro i Borbone.

La ritirata proseguì per Statigliano, Baia e Latina, accolti dall’ostilità degli abitanti del posto.

Alcuni soldati ritardatari con le camicie rosse furono fatti prigionieri.

I napoletani inseguirono con accanimento i nemici fino a Dragoni.

Nel tardo pomeriggio del 19, Csudafy, sotto pressione, si rifugiò a Piedimonte d’Alife.

L’ungherese, in un momento di grande sconforto, fu visto puntarsi una pistola alla tempia.

Era talmente avvilito da tentare il suicidio facendosi saltare il cervello.

Lo scontro di Caiazzo

Sempre il 19 settembre, il maggiore Giovan Battista Cattabeni oltrepassò il Volturno con una colonna di circa ottocento uomini.

Immediatamente, s’impadronì di Caiazzo.

Le truppe borboniche, dopo uno sbandamento iniziale, entrarono nella città e snidarono i garibaldini dalle case.

Quest’ultimi fuggirono precipitosamente e si gettarono nel fiume incalzati da una carica della cavalleria napoletana.

I gravi errori della spedizione furono quelli di non aver:

  • portato l’artiglieria.
  • stabilito le comunicazioni tra le due sponde di un fiume rapido soggetto a piene e difficile a guadare.

Ciò nonostante, l’inaudita temerità dei volontari nacque dalla speranza d’impossessarsi della piazza con un colpo di mano.

Non preparati a questa operazione, sprovvisti di munizione e di armi, subirono gravi perdite dal fuoco nemico.

Il colonnello Rustow attribuì la responsabilità della rotta di Caiazzo a Garibaldi.

Il ritiro del maggiore Csudafy

Dopo la sconfitta di Cattabeni a Caiazzo la posizione di Csudafy diventò critica.

Il comando generale inviò un emissario al maggiore per comunicargli la perdita dell’importante caposaldo e di riportare indietro l’esercito.

Dopo 5 giorni di permanenza, alle 11 di sera del 24 settembre, i garibaldini abbandonarono Piedimonte d’Alife.

Contro di loro era stato inviato il brigadiere Giovanni Luca Von Mechel, dislocato a Calvi il 13 settembre, con la sua divisione di tre battaglioni esteri e un distaccamento di cacciatori comandati dal colonnello Ruiz.

Pressato dai borbonici, l’ungherese si diresse a Cerreto Sannita passando per San Pasquale a Cusano Mutri.

Il 25 da Amorosi, risalì il fiume Calore e lo attraversò a Solopaca.

Quindi, all’alba del 27, arrivò a Benevento e da lì rientrò a Caserta con la sua audace piccola unità.

Il tentativo dei garibaldini di arrivare a Calvi fallì miseramente.

A distanza di poco tempo da quella missione, l’ufficiale ungherese arrivò sul suolo caleno per partecipare allo storico incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi.

Nei tre giorni di fine ottobre del 1860, soggiornò alla Taverna Mele in prossimità del bivio di Calvi.

Inoltre, Csudafy si incontrò a Sparanise con una giovane donna colta, figlia di un farmacista, che sembrava essere in prima linea nel Partito Liberale locale.

Costei parlava, oltre all’italiano, anche francese e tedesco, forse perfino l’inglese.

Il 28 ottobre 1860, il maggiore partì da Calvi con 5000 camicie rosse per lasciare il campo all’esercito piemontese.

Bibliografia:

1) Carlo Pecorini-Manzoni, Storia della 15° divisione Türr nella campagna del 1860 in Sicilia e Napoli, Firenze 1876
2) Giovanni Petella, La Legione del Matese, Città di Castello 1910
3) Carlo Agrati, Da Palermo al Volturno, Milano 1937

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