La scampata strage delle famiglie Verdolino – Capuano

La scampata strage delle famiglie Verdolino – Capuano

Achille Verdolino era nato a Garzano di Caserta il 28 maggio 1882 da Nicola e Antonietta Di Maio.

Il 18 aprile 1903, all’età di 21 anni, s’imbarcò sulla nave “Patria” per emigrare negli Stati Uniti.

Oltreoceano fissò la propria dimora nella casa del padre.

Rientrato in patria, fu arruolato nell’esercito italiano e partecipò alla prima guerra mondiale.

In seguito, divenne un caleno a tutti gli effetti perché sposò la petrulese Margherita Capuano.

Dalla loro unione nacquero 4 figli, il maschio Giuseppe Nicola, e tre femmine (Maria, Nicolina e Antonietta).

A giugno del 1920, partì nuovamente per gli Stati Uniti con la nave “Ferdinando Palasciano“.

Soggiornò dallo zio Michele Mandara a Syracuse nello Stato di New York nella 425 Barnet St.

Tornato nuovamente in Italia, l’8 giugno 1929 si trasferì per la terza volta nel “Nuovo Mondo” imbarcandosi sul piroscafo “Roma”.

Con la moglie Margherita, prese casa a Worcester nel Massachusetts nella 21 Prendice St.

In America svolgeva la professione di sarto (tailor) di primo livello.

Prima del secondo conflitto mondiale, la famiglia tornò definitivamente a Petrulo e si costruì una casa in via XX Settembre.

Tentata strage Achille Verdolino

Benché sempre bersagliati dalla cattiva sorte, i Verdolino seppero affrontare e superare molteplici avversità.

Nel 1937, la cinquantenne Margherita Capuano perse la vita in circostanze non note.

Anche l’unico figlio maschio della famiglia, Giuseppe Nicola, ebbe un destino crudele.

Maresciallo della marina e vittima di un naufragio, fu fatto prigioniero assieme al compaesano Girolamo Zona (sposato con “Ter’sina e matrone”) durante la seconda guerra mondiale.

In seguito, morì a Mondragone il 21 giugno 1958 per cause sconosciute a soli 39 anni, tre mesi prima di fare da testimone alle nozze di Nicolina e Gerardo Izzo.

L’arrivo a Calvi delle truppe della Wehrmacht

L’8 settembre 1943 c’era stato l’armistizio e i tedeschi da alleati si erano trasformati in nemici.

Il risentimento dei nazifascisti per il tradimento italiano si manifestò nella richiesta di una vendetta rapida.

Kesserling informò il generale Heinrich von Vietinghoff di “non dover mostrare nessuna pietà per i traditori”.

A metà settembre, le truppe della Wehrmacht, dopo gli sbarchi alleati in Sicilia e a Salerno, entrarono a Calvi Risorta.

Immediatamente, iniziarono i rastrellamenti di uomini validi da utilizzare come manodopera a Cassino per rafforzare la linea Gustav.

Dunque, mentre gli uomini si erano dati alla macchia, in paese giravano solo bambini, donne e anziani.

A dire il vero, le famiglie occultarono anche le ragazze e le fanciulle per paura di possibili violenze.

Ma per onesta intellettuale bisogna ammettere che i crucchi non torsero nemmeno un capello al gentil sesso.

Invece, i nazisti requisivano anche con le minacce il bestiame, i viveri e ogni risorsa disponibile alla popolazione.

Contestualmente, i soldati alleati, risalendo la penisola, cominciarono a martellare i soldati tedeschi.

I tiri dell’artiglieria si susseguivano ininterrottamente.

I traccianti rischiaravano a giorno il territorio caleno, rendendo visibili i proiettili durante la loro traiettoria.

Gli aerei ronzavano sopra le nostre teste.

Oltre ai bombardamenti del 26 luglio e del 9 ottobre 1943, un caccia solitario si presentò a Petrulo all’imbrunire di un giorno di settembre.

Il velivolo mitragliò tutto ciò che si muoveva.

Pertanto, la situazione in paese era insostenibile e potenzialmente pericolosa.

Il rifugio e la mancata strage

Antonio Capuano, piccolo imprenditore edile, possedeva tra l’altro una casetta di campagna alle masserie di Petrulo.

Vista la situazione, consigliò a suo cognato Achille Verdolino di trasferirsi con le rispettive famiglie nel casolare.

Lì avrebbero trascorso sicuramente una vita più tranquilla.

La famiglia Capuano era composta da Antonio, dalla moglie Maria Izzo e da due figli, Giuseppe di 16 anni e Michele di anni 11.

Il primogenito Angelo, catturato dai soldati inglesi in Africa Settentrionale, era in quel periodo prigioniero in Sud Africa.

La famiglia Verdolino, invece, comprendeva Achille, la seconda moglie Maria Cipro, il maschio di casa, Giuseppe Nicola, e le tre figlie (Maria, Nicolina e Antonietta).

Le cinque donne dormivano su dei materassi al piano terra del fabbricato.

Invece, gli uomini si riparavano in una grotta laterale, utilizzata anche come ricovero per proteggersi dalle cannonate.

Tuttavia, gli occupanti non avevano considerato che una mulattiera costeggiava il fabbricato.

Le truppe della Wehrmacht, infatti, la utilizzavano per raggiungere Rocchetta e Croce, altro avamposto sul fronte di guerra.

Una sera di ottobre, all’imbrunire, quattro soldati tedeschi di pattuglia videro il movimento nel casolare.

Con i fucili spianati, decisero di entrare.

Achille Verdolino, pensando che fossero angloamericani, li salutò calorosamente in inglese.

La sua lunga permanenza negli Stati Uniti gli consentiva di parlare fluentemente la lingua.

I tedeschi, diventati neri per la rabbia, decisero di passare per le armi tutte le persone presenti in casa.

Immediatamente, Antonio Capuano implorò clemenza asserendo che Achille fosse un folle, un pazzo.

Il capo pattuglia, un sergente austriaco, si lasciò impietosire e ordinò di soprassedere.

Ma prima di andarsene, i crucchi requisirono un maialino trovato nella stalla.

In quell’occasione, la “buona stella” riuscì a salvare la vita ai 9 caleni.

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