I 25 senatori capuani trucidati a Cales

I 25 senatori capuani trucidati a Cales

Dopo la battaglia di Canne e il saccheggio degli accampamenti romani nel 216 a.C., Annibale si diresse verso il Sannio.

Occupò senza difficoltà della città di Compsa (oggi Conza della Campania), la cui popolazione gli si consegnò senza combattere.

In seguito divise le sue truppe in due parti.

Il comandante cartaginese inviò nel Bruzio il fratello Magone con una parte dell’esercito per accogliere la resa delle città meridionali.

Annibale, invece, con il grosso dell’esercito, riuscì ad ottenere dopo una serie di trattative la defezione di Capua.

L’ingresso di Annibale nella seconda città più importante della penisola dopo Roma avvenne all’inizio dell’autunno del 216 a.C.

Vi entrò da trionfatore, accolto solennemente dal suo amico Pacuvio Calavio e dal governatore della città, Vibio Virro,

Capua riservò ad Annibale un’entusiastica accoglienza.

I capuani e i cartaginesi celebrarono l’alleanza con un banchetto riservato solamente ad una ristretta cerchia di persone.

Ma i romani non si arresero.

Negli anni seguenti continuò la guerra in Campania intorno a Nola,

Nel 212 a.C., i romani posero sotto assedio Capua.

I consoli Appio Claudio e Fulvio Flacco riuscirono, non senza difficoltà, a respingere le forze di Annibale:

Appio Claudio combatté i Campani, mentre Fulvio Flacco tenne a bada l’esercito cartaginese giunto in soccorso.

Contestualmente, il propretore Gaio Claudio Nerone e il suo legato Gaio Fulvio Flacco presidiarono con la cavalleria rispettivamente la strada che conduceva a Suessula e quella del Volturno.

La resa di Capua

Nel 211 a.C., i romani, dopo la resa di Capua, fecero ingresso nella città sfilando armati.

La punizione inflitta alla ribelle Capua fu terribile e feroce.

I conquistatori s’impossessarono di 2.700 libbre d’oro e 31.000 d’argento.

Intanto i nobili locali avevano abbandonato l’amministrazione pubblica.

Il governo era rimasto nelle mani dei capi del presidio cartaginese.

Costoro scrissero una dura lettera ad Annibale, nella quale condannavano il suo comportamento per essere stati abbandonati.

La missiva però fu intercettata dai romani dopo che un numida era riuscito con un escamotage ad accedere al loro campo.

Scoperto l’inganno, oltre settanta cartaginesi, insieme al gruppo di nuovi disertori, furono massacrati a bastonate e con le mani tagliate ricondotti a Capua.

La vista di questa crudele pena corporale portò la disperazione tra i Campani.

Il governatore della città, Vibio Virro, propose a tutti i notabili, che ne avessero intenzione, di suicidarsi prima di vedere tanti orrori.

Predispose un banchetto e dopo essersi saziato con cibo e vino, ad ognuno fu distribuita una tazza contenente del veleno.

In tal modo morirono ventisette senatori Campani insieme al governatore.

I romani portarono via i restanti 53 senatori in quanto ritenuti i principali sostenitori della rivolta.

Quasi metà di loro furono inviati a Cales.

Gli eventi rilevanti di Cales

Tito Livio narrò con dovizia di particolari gli eventi sanguinosi accaduti nel foro di Cales.

Nell’ex capitale dell’Ausonia avvennero tre episodi rilevanti:

  • l’uccisione di 25 senatori capuani
  • l’arrivo di un messo proveniente da Roma
  • il gesto estremo di Taurea Vibellio

Cales teneva custoditi in prigione 25 senatori, mentre gli altri 28 furono distaccati a Teano.

“senatores quinque et viginti Cales in custodiam, duodetriginta Teanum missi, quorum de sententia maxime descitum ab Romanis constabat.” (1)

I consoli Fulvio Flacco e Appio Claudio non erano d’accordo sulla punizione da infliggere ai senatori capuani.

Il primo era propenso alla vendetta.

Il secondo al perdono.

Perciò, Appio rimetteva al Senato di Roma ogni decisione su tale questione.

Inoltre, era opportuno dare ai senatori la facoltà di interrogare i prigionieri, chiedendo loro se fossero stati aiutati nella guerra da qualche alleato di stirpe latina.

Fulvio replicò che ciò non si doveva permettere in alcun modo perché gli animi di alleati fedeli non fossero tormentati da false accuse.

Pertanto, egli avrebbe impedito e chiuso definitivamente quella vicenda.

Dopo questa discussione, i due si separarono.

Appio non dubitò che il collega, benché si esprimesse duramente, avrebbe atteso comunicazioni da Roma su una così importante questione.

Fulvio, invece, congedati gli ufficiali della sua corte, ordinò ai tribuni militari e ai comandanti degli alleati di predisporre 2000 cavalieri scelti per essere pronti a muoversi al terzo squillo di tromba.

Partito di notte con la cavalleria per Teano, Fulvio varcò la porta e si diresse nel foro al sorgere del sole.

L’uccisione dei Campani a Cales

Accorsa in massa la gente al primo ingresso dei cavalli, il console ordinò che fosse convocato il magistrato dei Sidicini.

Inoltre, impose di portare fuori i Campani che erano detenuti in carcere.

Tutti furono trascinati in giudizio, colpiti con le verghe e decapitati con la scure.

Spronato poi il cavallo, corse verso Cales, dove si sedette in tribunale.

Mentre i Campani erano legati al palo, giunge da Roma un cavaliere e consegnò nelle mani di Fulvio un dispaccio del pretore Gaio Calpurnio Pisone e il decreto del senato.

Dal foro di Cales si levò un mormorio che si diffuse per tutta l’adunanza.

I presenti erano dell’opinione che la sorte dei capuani passava nelle mani del Senato.

Fulvio, convinto che fosse così, ripose in grembo la missiva senza dissuggellarla.

Allora, ordinò al banditore d’imporre al littore di procedere nel rispetto della legge.

In tal modo, furono giustiziati anche quelli che erano a Cales.

Aggiungo che i condannati, prima di porgere il collo alla mannaia, erano legati ad un palo con la schiena lacerata dalle vergate.

A seguire, Fulvio lesse la missiva con il decreto del Senato, ormai tardi per impedire l’esecuzione già avvenuta, che era stata quanto mai affrettata per non poter essere impedita.

Inde citato equo Cales percurrit: ubi cum in tribunali consedisset, productique Campani deligarentur ad palum, eques citus ab Roma venit litterasque a C. Calpurnio praetore et senatus consultum Fulvio tradit. Sed Fulvius praeconi imperavit, ut lictorem lege agere iuberet. Ita de iis quoque, qui Calibus erant, sumptum supplicium (est). Tum litterae lectae (sunt) senatusque consultum serum ad impediendam rem actam, quae summa ope adproperata erat, ne impediri posset.” (2)

La vicenda di Taurea Vibellio

Cales fu teatro di un’altra triste vicenda.

Quando Flacco se ne stava andando, si fece avanti un campano di nome Taurea Vibellio facendosi largo tra la folla.

Il capuano, dopo aver apostrofato per nome il console, gli disse:

Ordina di ammazzare anche me, affinché tu possa vantarti di aver ucciso un uomo molto più forte di te!

Mentre Flacco ritenne indubbiamente che si trattava di uno squilibrato, dicendo che se pur lo volesse uccidere, egli sarebbe stato anche trattenuto da un decreto del Senato, Vibellio rispose:

dal momento che la mia patria è stata presa, che i miei parenti e amici sono morti, che io stesso con le mie mani ho ucciso mia moglie e i miei figli affinché non soffrissero per il disonore, che non mi si lascia neppure la facoltà di morire con i miei concittadini, chiedo al coraggio di liberarmi da questa vita tanto detestata!

Dopo aver pronunciato tali parole, si trapassò il petto con la spada nascosta sotto la veste.

Taurea Vibellio cadde morente ai piedi del proconsole.

L’altra versione di Tito Livio

Tito Livio riportò nel 16° capitolo del XXVI libro una versione alternativa dell’accaduto.

Vibellio Taurea non arrivò a Cales sulle sue gambe, né che si fosse ucciso di mano sua.

In realtà, mentre lo si legava al palo insieme agli altri, udendosi poco di ciò che diceva a causa dello strepito, Flacco fece fare silenzio.

Allora Taurea affermò, come riportato sopra, che egli, uomo valoroso, era messo a morte da chi non gli somigliava affatto.

A queste parole, per ordine del proconsole, il banditore impose al littore:

fustiga con le verghe l’uomo valoroso e inizia da lui ad eseguire la legge“.

Alcuni affermarono anche che Flacco avrebbe letto il senatoconsulto prima di mettere mano alla mannaia.

Ma poiché vi era scritto nel senatoconsulto che, se lo riteneva opportuno, “affidasse l’intera questione al Senato”, interpretò che si lasciava a lui l’arbitrio di fare quello che riteneva più utile alla Repubblica.

Da Cales si ritornò a Capua e si ricevette la resa incondizionata di Atella e Calatia.

hunc quoque ipsum Tauream neque sua sponte venisse Cales neque sua manu interfectum, sed dum inter ceteros ad palum deligatur, quia parum inter strepitus exaudiri possent quae vociferaretur silentium fieri Flaccum iussisse; tum Tauream illa quae ante memorata sunt dixisse, virum se fortissimum ab nequaquam pari ad virtutem occidi; sub haec dicta iussu proconsulis praeconem ita pronuntiasse: ‘lictor, viro forti adde virgas et in eum primum lege age.’ lectum quoque senatus consultum priusquam securi feriret quidam auctores sunt, sed quia adscriptum in senatus consulto fuerit si ei videretur integram rem ad senatum reiceret, interpretatum esse quid magis e re publica duceret aestimationem sibi permissam. Capuam a Calibus reditum est, Atellaque et Calatia in deditionem acceptae;” (3)

Un altro autore latino che illustrò gli avvenimenti di Cales fu Valerio Massimo.

Il racconto di Valerio Massimo

I senatori capuani, dopo la resa, subirono dure rappresaglie.

Fulvio, una volta arrestati e divisi in due gruppi, li fece trasferire nelle carceri di Teano e di Cales.

L’intenzione era di eseguire il suo piano dopo aver risolto altri impegni che gli sembravano più urgenti.

Ma quando si sparse la voce che a Roma il Senato pensava di mitigare la pena, partì nella notte a spron battuto verso Teano per evitare che quegli scellerati sfuggissero alla giusta punizione.

Eseguite qui le sentenze capitali, si recò senza perdere tempo a Cales per compiere con perseveranza quanto credeva suo dovere.

I condannati erano già legati al palo, quando ricevette dai “padri coscritti” un messaggio.

Ma ciò non avrebbe contribuito alla salvezza dei Campani.

Difatti, Fulvio lo ripose nella mano sinistra così come gli era stato consegnato.

Fatto eseguire l’ordine dal littore, solo allora aprì il dispaccio, quando non avrebbe potuto più ottemperarvi.

Con questa incrollabile coerenza di comportamento, egli superò persino la sua gloria di vincitore, perché, se lo si valuta sotto i due pur lodevoli profili di vendicatore e di conquistatore, egli meritò più lode per aver punito che per aver conquistato Capua.

itaque catenis onustum in duas custodias, Teanam Calenamque divisit consilium executurus, cum ea peregisset, quorum administrandorum citerior esse necessitas videbatur. rumore autem de senatus mitiore sententia orto, ne debitam poenam scelerati effugerent, nocte admisso equo Teanum contendit interfectisque qui ibi adservabantur e vestigio Cales est transgressus perseverantiae suae opus executurus et iam deligatis ad palum hostibus litteras a patribus conscriptis nequiquam salutaris Campanis accepit: in sinistra enim eas manu, sicut erant traditae, reposuit ac iusso lictore lege agere tum demum aperuit, postquam illis obtemperari non poterat. qua constantia victoriae quoque gloriam antecessit, quia, si eum intra se ipsam partita laude aestimes, maiorem punita Capua quam capta reperias.” (4)

Ulteriori dettagli di Valeri Massimo

Grande è anche lo stupore suscitato dal sangue che, versato da più corpi, confluì in un’unica pozza.

Il fatto avvenne a Cales dove Fulvio Flacco stava presenziando all’esecuzione capitale dei maggiorenti di Capua davanti al suo tribunale.

Così pagavano i Campani la pena della slealtà.

Ma quando giunse l’ordine del Senato, egli fu costretto a porvi fine.

Tito Iubellio Taurea, campano, si presentò spontaneamente e con la voce più chiara che gli era possibile, disse:

Dal momento che tanto ardi, o Fulvio, dal desiderio di versare il nostro sangue, per quale ragione smetti d’impugnare contro di me la scure insanguinata, onde possa gloriarti di aver fatto uccidere un uomo un po’ più coraggioso di te?

E quando Flacco dichiarò che l’avrebbe fatto volentieri, se non fosse stato impedito dalla volontà del Senato, Taurea rispose:

“Guarda piuttosto me che nessun ordine ho ricevuto dai padri coscritti, mentre compio un’azione certo gradita ai tuoi occhi, ma che tu mai avresti il coraggio di fare”.

Uccisi moglie e figli, lì per lì si trafisse con la spada.

Quale uomo dovremmo pensare che fosse colui che, uccidendo sé stesso e i suoi cari, volle provare di aver preferito suggellare la crudeltà di Fulvio che trarre profitto dalla misericordia del Senato?

Bibliografia

Ille quoque ex pluribus corporibus in unum magna cum admiratione Calibus cruor confusus est. In quo oppido cum Fulvius Flaccus Campanam perfidiam principes civitatis ante tribunal suum capitali supplicio adficiendo vindicaret litterisque a senatu acceptis finem poenae eorum statuere cogeretur, ultro se ei T. Iubellius Taurea Campanus obtulit et quam potuit clara voce ‘quoniam’ inquit, ‘Fulvi, tanta cupiditate hauriendi sanguinis nostri teneris, quid cessas in me cruentam securem destringere, ut gloriari possis fortiorem aliquanto virum quam ipse es tuo iussu esse interemptum?’ eo deinde dicente libenter id se fuisse facturum, nisi senatus voluntate inpediretur, adfirmante, ‘at me’ inquit, ‘cui nihil patres conscripti praeceperunt, aspice, oculis quidem tuis gratum, animo vero tuo maius opus edentem’, protinusque interfecta coniuge ac liberis gladio incubuit. quem illum virum putemus fuisse, qui suorum ac sua caede testari voluit se Fulvii crudelitatem suggillare quam senatus misericordia uti maluisse?” (5)

1) Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro XXVI, par. 14
2) Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro XXVI, par. 15
3) Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro XXVI, par. 16
4) Valerio Massimo, Factorum et Dictorum Memorabilium Libri Novem, Libro III, par. 3.8.1
5) Valerio Massimo, Factorum et Dictorum Memorabilium Libri Novem, Libro III, par. 3.2.ext.1

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