L’erotismo tra Sulpicia e Caleno

L’erotismo tra Sulpicia e Caleno

I poeti dell’antica Roma di sicuro non avevano una vita facile.

Per muovere i primi passi dovevano avere un sostenitore e un protettore.

I più fortunati vissero nel I secolo dell’Impero quando i convivi erano rallegrati dalle declamazioni di Virgilio, Ovidio, Catullo, Marziale.

Gli intellettuali scrivevano componimenti inneggianti alla patria, ai sentimenti, alle virtù e soprattutto all’amore.

Ma dell’amore cantarono anche delle poetesse che sono ricordate entrambe con il nome di Sulpicia.

La prima visse durante il regno di Augusto tra il 27 a.C. e il 14 d.C.

Figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo e di Valeria, verosimilmente frequentò il circolo culturale dello zio Marco Messalla Corvino.

In epoca di grande fermento letterario, si confrontò con Tibullo, Ovidio e Ligdamo.

L’altra Sulpicia, la più famosa, visse al tempo di Domiziano tra l’81 e il 96 d.C.

La poetessa era molto conosciuta negli ambienti letterari romani.

Alcuni studiosi sono del parere che può aver influenzato altri poeti come ad esempio Properzio.

Comunque, Ausonio, Sidonio e Fulgenzio consideravano Sulpicia come l’unica scrittrice latina degna di nota in mezzo ai più celebri autori maschi.

Tuttavia, l’autorevolezza di Sulpicia è stata confermata dalla Sulpiciae Conquestio.

Il poemetto risale al IV-V secolo.

Ripubblicato alla fine del 1400 e andato nuovamente perso, è stato ritrovato nel 1948 in una raccolta di epigrammi anonimi.

Per quanto concerne le origini di Sulpicia, non si hanno notizie del luogo di nascita della puella docta.

Ma sicuramente il marito di nome Caleno, filosofo, era natio di Cales.

La coppia frequentava senza alcun dubbio lo stesso circolo culturale del più importante poeta del tempo, Marco Valerio Marziale.

Il primo epigramma di Marziale

Marziale parlò di Sulpicia in due epigrammi del libro 10.

Da questi sappiamo che i versi d’amore della poetessa erano per il suo sposo Caleno, a cui rivolse appassionati pensieri erotici.

Egli riteneva che i versi di Sulpicia dovevano ispirare gli sposi nel modo corretto di vivere il loro rapporto.

Ed infatti scriveva:

Omnes Sulpiciam legant puellae,
Uni quae cupiunt viro placere;
Omnes Sulpiciam legant mariti,
Uni qui cupiunt placere nuptae.
” (1)

“Leggano Sulpicia tutte le ragazze che vogliono piacere soltanto al loro uomo,

leggano Sulpicia tutti i mariti che vogliono piacere soltanto alla loro sposa”.

Lei non rivendica il furore della donna della Colchide (Medea, figlia di Eete, re della Colchide, e di Idia),

a lei non interessa raccontare dei banchetti di Tieste, lei non crede all’esistenza di Scilla e Biblide, ma

sii casto docet et pios amori,
lusus, facetiasque delizie.
Cuius carmina qui bene aestimarit,
nullam dixerit esse nequiorem,
nullam dixerit esse sanctiorem
” (1)

insegna amori casti e onesti, scherzi, gioie e grazie.

Chi sa apprezzare i suoi versi direbbe che nessuno era più malizioso, io direi che nessuno era più pudico.

Il rapporto tra Caleno e Sulpicia è paragonato a quello tra Numa Pompilio, il secondo re di Roma, e la sua sposa, la ninfa Egeria,

Marziale procede poi a confrontare Sulpicia a Saffo, la celebre poetessa dell’antichità.

Se Saffo avesse avuto Sulpicia come condiscepola o come maestra, sarebbe stata più dotta e pudica.

Ma se l’impenetrabile Faone vedesse nello stesso momento Saffo e Sulpicia, si sarebbe innamorato di quest’ultima.

Invano: ella infatti non vivrebbe come moglie di Giove, detto “tonante”, né come amante di Bacco o di Apollo, se le fosse tolto il suo Caleno.

Dunque, Sulpicia non canta storie mitologiche di amori scellerati ma predica le gioie dell’amore e del sesso coniugale.

L’altra iscrizione poetica

Nell’altro epigramma, Marziale racconta altri particolari della storia d’amore.

O molles tibi quindecim, Calene,
Quos cum Sulpicia tua iugales
Indulsit deus et peregit annos!
O nox omnis et hora, quae notata est
Caris litoris Indici lapillis!
O quae proelia, quas utrimque pugnas
Felix lectulus et lucerna vidit
Nimbis ebria Nicerotianis!
Vixisti tribus, o Calene, lustris:
Aetas haec tibi tota conputatur
Et solos numeras dies mariti.
Ex illis tibi si diu rogatam
Lucem redderet Atropos vel unam,
Malles, quam Pyliam quater senectam.” (2)

“Che belli per te, Caleno, i quindici anni di matrimonio che un dio ti ha concesso di trascorrere per intero con la tua Sulpicia!

Che notti, che ore, tutte segnate da perle preziose del litorale d’India!

Oh che giostre, quali battaglie da ambo le parti videro il letto felice e la lampada impregnata da inebrianti fragranze del profumiere Nicerote.

Sei vissuto per tre lustri, Caleno: questo è il solo tempo che conta per te, solo i giorni in cui sei stato suo marito tu consideri.

Se Atropo dopo lunghe preghiere di quei giorni te ne rendesse anche uno solo, lo preferiresti alla vecchiaia moltiplicata per quattro del re di Pilo“.

Dunque, l’interpretazione prevalente è che il filosofo originario di Cales sia rimasto vedovo dopo 15 anni di matrimonio.

Altri, invece, puntano più ad un divorzio che ad una tragica fine.

Comunque, i 15 anni trascorsi al fianco della sua Sulpicia sono per Caleno vera vita.

Infine, gli ultimi tre versi dicono che Caleno, se fosse posto di fronte alla prospettiva di passare una lunghissima vecchiaia da solo, preferirebbe ottenere dalle divinità un solo giorno con Sulpicia, esattamente come nel precedente epigramma si asserisce che Sulpicia non vorrebbe essere sposa nemmeno di un dio se le venisse strappato dalla morte il marito.

L’ultimo frammento

A metà del XV secolo, nel preparare la sua edizione di Giovenale, Giorgio Valla, presumibilmente cugino di Lorenzo Valla, si avvalse di un manoscritto, oggi perduto, che conteneva commenti alle prime otto satire attribuite a Probo.

Il suo prestigio, però, portò alla circolazione di numerose opere a lui intitolate in epoca tardo-medievale.

E proprio una di queste è la scholia a Giovenale, la cui prima stesura risale solitamente intorno al IV secolo.

Il Probus Vallae, quindi, riporta tra l’altro gli unici due versi conosciuti attribuibili senza dubbio a Sulpicia.

Nell’edizione di Blansdorf (3) si legge:

“Si me cadurci restitutis fasciis
nudam Caleno concubantem proferat”

Se fossero già state riparate le cinghie al materasso,
mi esporrei nuda a letto con Caleno.

In questo frammento vi è la testimonianza della smoderata passione di Sulpicia per il marito senza scadere nella bassa volgarità.

Infatti, si parla di un letto infranto dai travolgenti rapporti sessuali degli sposi e di una Sulpicia che si accosta nuda a Caleno.

L’altro aspetto intrinseco, suffragato dal secondo epigramma di Marziale. è quello che fanno l’amore alla luce di una lampada.

Fino a qualche tempo prima, il sesso era praticato al buio (sublato lumine) per una forma di vergogna-pudore.

Invece, nei due versi la poetessa si mostra audace e provocatoria, evidenziando le proprie pulsazioni erotiche.

Ciò dimostra come l’emancipazione femminile aveva già trovato spazio a Roma durante l’impero di Domiziano.

Bibliografia:
1) Marco Valerio Marziale, Epigrammi, Libro X, 35
2) Marco Valerio Marziale, Epigrammi, Libro X, 38
3) Jurgen Blansdorf, Fragmenta poetarum Latinorum epicorum et lyricorum praeter Ennium et Lucilium, Lipsia 1995

© Riproduzione riservata