Il quartier generale dell’armata borbonica

Il quartier generale dell’armata borbonica

L’11 maggio 1860, a seguito dello sbarco dei Mille a Marsala, iniziò il grande processo rivoluzionario che culminò con l’unità d’Italia.

I volontari garibaldini, seppur in inferiorità di uomini e mezzi, avanzarono prima in Sicilia e poi sul continente sbaragliando l’esercito napoletano in Calabria e in Basilicata.

Constatata la veloce risalita dello stivale da parte delle camicie rosse, alcuni consiglieri in un primo momento suggerirono al re di approntare la difesa nella capitale del Regno.

Tuttavia, in quei giorni convulsi per i precedenti insuccessi militari e l’incertezza dell’avvenire, il giovane Francesco II, sovrano del Regno delle Due Sicilie, decise di concentrare le sue truppe lontane da Napoli per evitare gravi e luttuosi eventi alla capitale.

“L’armata napoletana immediatamente fu disposta su tre linee.

La prima era la linea del Volturno; e comprendeva un totale di 20.000 uomini.

Era il corpo d’operazione.

Capua era il suo quartier generale, la sua base e il suo centro.

Il ponte era protetto dal Volturno, che, benché poco largo e rapido, è pertanto molto profondo, e assai poco guadoso.

Questo fiume avvolge Capua da tre lati, e può aggirare la città completamente, se si aprono le cateratte, le quali così fanno riempire i fossati.

La destra della prima linea si appoggiava sulle paludi e sul mare; la sinistra sui monti legati alla grande catena degli appennini.

La seconda linea era quella del Garigliano, appoggiandosi a destra sul mare, a sinistra sulle gole di San Germano (l’odierna Cassino), e protetta a tergo da monti impervi e dalle gole d’Itri.

La terza linea era Gaeta, residenza del re e del governo.

L’opzione Calvi

Il telegrafo elettrico metteva Capua in comunicazione con Gaeta e i posti intermedi.” (1)

Inoltre, nelle zone limitrofe dei suddetti centri abitati furono dislocate pattuglie di ussari, carabinieri, cavalleria e cacciatori con il supporto di alcune batterie di artiglieria.

In alta Terra di Lavoro, Calvi altresì era presidiata da un distaccamento d’osservazione per impedire al nemico di assalire improvvisamente le milizie borboniche.

Terminato il dispiegamento delle forze armate sulle sponde del Volturno, Sua Maestà Francesco II ordinò al generale in capo di trasferire la sede del comando dell’esercito fuori Capua.

Tra le diverse opzioni, Calvi rappresentava uno dei punti principali del teatro di guerra perché:

  • costituiva il sito più centrale;
  • aveva una posizione di eccezionale importanza strategica per il controllo del sistema viario
    diretto verso gli Abruzzi e la costa occidentale;
  • era protetta a nord e su tutto il fianco destro da un arco dei rilievi subappenninici dei Monti Trebulani.
    Questa conformazione rendeva il luogo inattaccabile da quel versante.

Per altri aspetti, invece, la città calena presentava una serie di controindicazioni in quanto:

  • a Calvi il comandante in capo aveva maggiore difficoltà nel reperire notizie del nemico e, conseguentemente, impossibilitato a regolare le sue operazioni;
  • non vi era la corrispondenza elettrica tramite telegrafo con Capua, Sessa e Gaeta;
  • Calvi era distante dal lato più esposto al nemico tanto da rappresentare un ostacolo notevole per rispondere velocemente agli assalti e alle sortite delle camicie rosse;

infine, e non da meno, le risorse della piazza erano abbastanza scarse a tal punto da non poterne essere messe a profitto (assenza di truppe da impiegare e mancanza del materiale per la guerra).

Quartier_Calvi

La scelta di Capua

In seguito all’ordine sovrano, il 14 settembre 1860 Giosuè Ritucci, capo di stato maggiore dell’esercito napoletano, informò il re di essersi trasferito a Capua, quale residenza del comando, essendo il luogo più idoneo per manovrare sulle due rive del Volturno perché “le piazze, in generale, sono utili quando per la loro posizione danno agli eserciti l’agio, appoggiandosi ad esse, di manovrare con vantaggio, e quando possono sotto le sue mura, riparare le perdite e danni sofferti, quindi riordinati, ricominciare le loro operazioni.” (2)

Nello stesso giorno il re da Gaeta inviò al Ritucci il seguente telegramma:
Tenetemi come pel passato informato di ciò che avviene.

La decisione assunta consentì di salvare da sicura distruzione l’abitato di Calvi e del suo circondario.

A distanza di poco tempo, il caso volle che il territorio caleno diventasse il quartier generale e la base operativa dei volontari garibaldini dal 25 al 28 ottobre 1860, immediatamente prima e dopo la consegna dell’Italia meridionale a Vittorio Emanuele II.

Bibliografia:
1) Cronache Reali, A. B., fascio 1695, foglio 152
2) Lettera del maresciallo Ritucci al re, Capua, 14 settembre 1860, A. B., fascio 1695, fogli 68 – 69

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