L’imponente feudo di Calvi nel 1150

L’imponente feudo di Calvi nel 1150

Il normanno Ruggero II della dinastia degli Altavilla fu il fondatore dell’indipendente Regnum Siciliæ.

Il sovrano, uno dei più grandi e più illustri della storia, assunse la veste di signore dell’Italia meridionale.

La sua avvedutezza permise l’esistenza di un solo tipo fondamentale di feudo, quello in capite de domino Rege.

Il proprietario era direttamente e personalmente responsabile verso il re e i suoi funzionari.

Inoltre, obbligava i propri sudditi a svolgere il servizio militare in modo proporzionale alla consistenza del beneficio ricevuto.

La nascita del feudo in capite de domino Rege fu il risultato di almeno due brillanti intuizioni portate a termine da Ruggiero nelle assise di Silva Marca presso Ariano Irpino del 1142.

Nella prima, il sovrano estese a tutte le contee del Regno un modello di organizzazione territoriale.

Si trattava di togliere alla contea la sua antica fisionomia di signoria territoriale, per attribuirle una funzione squisitamente militare.

I nuovi organismi feudali erano costituiti da una serie di possedimenti collocati in difesa di luoghi e percorsi strategicamente rilevanti.

A volte, però, le terre non erano necessariamente contigue tra loro ma sparse a macchia d’olio.

Tutti i nuovi feudatari furono, poi, legati al re da un vincolo di sangue.

Ciò permise loro di partecipare alla potestà regia attraverso l’esercizio di alcune prerogative del sovrano.

In aggiunta, entravano a far parte dell’esercito regio, unitamente al contingente di cavalieri che essi dovevano fornire in proporzione alla consistenza dei feudi posseduti.

Il Quaternus magne expeditionis

La seconda geniale operazione attuata da re Ruggiero fu l’istituzione di una nuova categoria di feudi.

I possedimenti furono chiamati nella seconda metà del XII secolo “feuda quaternata” o “feuda in baronia“.

Si trattava di feudi sui quali il re esercitava un controllo stringente perché era necessario comunque il suo assenso nella loro trasmissione, anche quando si trattava degli eredi legittimi.

In cambio i titolari godevano del diritto regio di riscuotere il plateaticum, corrispondente all’attuale imposta per l’utilizzazione del suolo pubblico.

Anche i feuda in baronia dovevano fornire all’esercito regio un numero di militi proporzionato alla loro dimensione.

Ma, a differenza di quanto avveniva per quelli comitali, i cavalieri erano comandati da un funzionario regio, detto connestabile.

Dunque, Ruggero plasmò sia la struttura amministrativa che l’organizzazione feudale del Regno in base alla sua concezione di monarchia assoluta.

Gli organi statali disponevano di una serie di documenti nei quali si elencavano tutti i vassalli regi del continente e i rispettivi obblighi militari.

Tutti questi dati furono poi raccolti e sistematizzati nel “Quaternus magne expeditionis” noto come Catalogus Baronum.

Il registro fu redatto negli anni 1150-52 e poi aggiornato tra il 1167 e il 1168.

Il conte Riccardo dell’Aquila

Il Catalogus Baronum elencava non meno di 3453 feudi, per un totale di 8.620 milites e 11.090 servientes, esclusa la Calabria e la Sicilia.

Tra loro, non poteva mancare l’imponente feudo di Calvi.

Comes Riccardus de Aquila dixit, quod demanium suum de Calvo

est feudum XX. militum, et Riardum est feudum I. militis.

Una sunt milites demanij sui XXI, et augmentum sunt milites XXI.

Un inter feudum, et augmentum sunt milites XLII.

Da tale prezioso documento si evince che il conte Riccardo dell’Aquila deteneva Calvi.

Il dell’Aquila era figlio di un altro Riccardo che probabilmente si può identificare con Riccardo (I), duca di Gaeta.

Inoltre era imparentato, direttamente o a seguito di un matrimonio, con la famiglia reale.

Il conte contribuiva con 20 soldati a cavallo (milite) per Calvi e uno per Riardo.

Ma nei momenti di particolare gravità, doveva predisporre un quantitativo doppio, cioè 42 cavalieri.

Inoltre, le spese per il mantenimento dei cavalieri e dei cavalli gravavano sul feudatario per tutto il tempo del servizio.

Lo studioso Angelo Ferrari ci mostra invece un’altra interessante chiave di lettura del Catalogus. (1)

In una sua pubblicazione sui feudi prenormanni dei Borrello, il Ferrari asserisce che normalmente si concedeva un cavaliere ogni 24 famiglie, chiamate fuochi.

Poi, mediamente, si potevano contare per ogni fuoco dalle 4 alle 6 persone.

Basandoci su queste premesse, Calvi aveva all’incirca 480 famiglie con una popolazione pressappoco di 2500 anime.

Inoltre, facendo un po’ di calcoli sulla base delle informazioni dallo studioso Bartolommeo Capasso, possiamo dedurre che Calvi, equipaggiando annualmente XX cavalieri, aveva una rendita annua superiore alle 400 once d’oro.

La vasta e ricca Calvi

Il conte Riccardo dell’Aquila, oltre ai possedimenti di Calvi e Riardo, ottenne anche altre terre:

et de Avellino est feudum XVI militum, quod tenet in Ducatu:
et de Merculiano est feudum II militum,
et de Caprilia feudum II militum,
et de Sancto Angelo feudum II militum.
Una de proprio feudo sunt milites XLVI et augmentum eius sunt milites XLV
Una inter feudum, et sugmentum obtulit milites LXXXVIII, et seriventes C.

Il feudo di Avellino era valutato sedici militi, mentre Mercogliano, Capriglia e Sant’Angelo a Scala due a testa.

Dunque, essendo il valore di un feudo commisurato alla quantità di cavalieri che il feudatario era tenuto ad approntare per l’esercito del re, Calvi era più vasta e grande di Avellino del 20%.

Aggiungo che, rileggendo tutti i dati del registro, si evince che Calvi costituiva uno dei possedimenti più importanti dell’Italia meridionale.

A tal proposito, lo storico sparanisano Giuseppe Carcaiso afferma che in quest’epoca buona parte della vecchia contea sia stata trasformata in una vasta signoria feudale.”

E non saprei dire fino a che punto i contadini dell’agro caleno abbiano avuto motivo di rallegrarsi per questo cambiamento di stato e di padroni.
In realtà, c’è da supporre che le loro condizioni di vita peggiorarono e per Calvi cominciò proprio da quell’epoca il suo irreversibile e definitivo declino. (2)

Quest’affermazione è destituita di ogni fondamento.

Calvi continuò a godere di prosperità anche nei secoli successivi.

Basti considerare che alla fine del XIII secolo Calvi fu venduta al cardinale Caetani per 1300 o 1800 once d’oro.

Tornando ai feudatari, “il figliuolo d’Orso di Regina era suffeudatario di Riccardo dell’Aquila Conte di Calvi, e non ci si pone che cosa offerisse.” (3)

Riccardo dell’Aquila, uno dei più autorevoli baroni campani, morì il 14 settembre 1152.

Tutti i suoi possedimenti passarono al figlio Ruggero.

Bibliografia:

1) Angelo Ferrari, Feudi prenormanni dei Borrello tra Abruzzo e Molise, Uni Service 2007
2) Giuseppe Carcaiso, Calvi e l’Alta Campania fra tardo impero e medio evo, Sparanise 1996
3) Giovanni Vincenzo Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, Volume IV, 1644

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