La stele funeraria di Vassa e Rufa di Cales

La stele funeraria

La stele indicava il luogo di sepoltura e il rango sociale del defunto attraverso il suo ritratto.

In piena epoca romana, la tradizione di posizionare le lapidi sepolcrali scolpite riprese vigore.

La produzione di forme attiche subì un impulso anche nell’alta Campania.

In una delle numerose campagne di scavo condotte nell’area archeologica di Cales, fu rinvenuta una pregevole stele funeraria.

Sfortunatamente, nel corso delle operazioni di recupero, il capolavoro subì un danno alla base.

La lapide esponeva elementi di base della cultura romana e rielaborati seconda la tradizione greca.

Il grosso blocco monolitico in pietra di tufo presentava decorazione a rilievo.

Di forma parallelepipeda, sui due fusti lisci delle colonne poggiavano i capitelli ionici abbelliti con volute.

Al di sopra, l’architrave, con funzioni strutturali di sostegno, esibiva un’iscrizione incisa.

Sulla sommità, faceva bella mostra di sé il frontone di forma triangolare posto a coronamento della facciata dell’edificio.

Il centro del timpano ospitava uno stemma a forma di quadrifoglio.

All’interno della struttura poco profonda, erano raffigurate due figure femminili a mezzo busto.

Vassa e Rufa

Specificatamente, la stele evidenziava un legame saldo ed amorevole della madre con la propria figlia.

Alla sinistra era rappresentata una donna attempata di nome Vassa.

La signora, vestita di chitone ed avvolta in un mantello drappeggiato con frange fermato sul petto, aveva il capo velato.

Inoltre, con il braccio destro avvinghiava sua figlia.

La ragazza chiamata Rufa era morta all’età di 27 anni.

I tratti di quest’ultima, ad un occhio attento ed esperto, rivelavano una profonda tristezza mista a rassegnazione.

Queste due donne appartenevano ad una classe sociale elevata.

Stele funeraria

Ovviamente, Vassa è un nome nuovo, mai riscontrato nelle ricerche storiche della cittadina calena.

Rufa, invece no.

In un’epigrafe marmorea delle dimensioni di 90 cm x 65 cm rinvenuta a Cales nel 1858, si elencavano le cariche ricoperte da Aufellio Rufo.

L AUFELLIO RUFO
P P LEG VII C P F
IIII VIR QVINQ
FLAMINI DIVI AVG
PATRONO MUNICIPI
VICUS PALATIUS (1)

interpretata dagli studiosi nel seguente modo:

L(ucio) Aufellio Rufo / p(rimi)p(ilo) leg(ionis) VII C(laudiae) P(iae) F(idelis) / IIIIuir(o)
quinq(uennali) / flamini divi Aug(usti) / patrono municip(i) / Vicus Palatius

Lucio Aufellio Rufo era un primipilio, ossia un centurione capo della legione Claudia Pia Fidelis.

In aggiunta, ricoprì il ruolo di quattuorviro quinquennale, flamine del divo Augusto e patrono del Municipio del Vico Palatius (Cales).

La datazione della lapide sepolcrale

Per quanto concerne la datazione, la stele risale al I secolo a. C., tra la fine dell’età repubblicana e il nascente periodo imperiale.

Ciò che determina una simile successione temporale è la differenza tra le acconciature delle due figure femminili.

Le donne romane seguivano volentieri i capricci della moda dedicando un po’ del loro tempo ad agghindarsi e alle diverse pettinature.

Nella stele, l’acconciatura della madre risulta essere tipica del periodo repubblicano romano con i capelli tirati e raccolti indietro nonchè coperti da un velo.

Quella della figlia, invece, è della prima età imperiale.

All’epoca, la pettinatura femminile più diffusa fu quella detta “all’Ottavia“, tipicamente italica e adatta alle lunghe chiome delle signore.

I capelli erano raccolti in una doppia treccia che partiva da un nodo sulla fronte e scendeva dagli occipiti sulla nuca.

Il nome dell’acconciatura traeva origine da Ottavia, sorella di Augusto, perché era la sua preferita.

Ovviamente questo stile fu poi ammirato e imitato da molte altre donne della civiltà romana.

La stupenda opera di Cales è esposta nel “lapidario del Museo Campano di Capua.

La prima sala, dedicata al grande archeologo tedesco Theodor Mommsen, ospita al suo interno materiali archeologici, lastre commemorative, stele funerarie, riconducibili ad un periodo storico compreso tra il VII sec. a. C. e il VI sec. d. C.

Dunque, i preziosi reperti di Cales, considerata la sua grandeur nei millenni passati, si possono ammirare a Capua e in tutti i musei del mondo.

Peccato, tuttavia, non averne uno proprio.

Bibliografia:
1) Theodor Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinarum X, 4641

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