Vicus Palatius, il sobborgo di Cales

Il sobborgo di Cales, Vicus Palatius

Sin dalla sua istituzione, la colonia romana di Cales disponeva di un vasto ed esteso territorio circostante.

Nel suo ager vi era una forte presenza di indigeni peregrini stanziati in agglomerati secondari chiamati vici.

Tali borgate, disseminate sul territorio, si spingevano ai confini della colonia.

I coloni romani, oltre a essersi collocati in città, centro della colonia, vivevano in grandissimo numero proprio in questi vici.

Da essi, tuttavia, non erano stati scacciati gli antichi abitanti.

Così, si era creata nei vici una commistione tra i romani che configuravano il ceto ricco, dei proprietari terrieri, e gli indigeni, la cui condizione giuridica, oltre che economica, era inferiore a quelle dei primi.

Gli agglomerati, pur inseriti nel contesto politico della colonia, godevano di una certa autonomia amministrativa,

“La tesi è suffragata dalla loro capacità di assumere alcune decisioni e dalla presenza di magistrature (o semi-magistrature) locali.

Inoltre, sono attestati lasciti testamentari a vantaggio dei vicani e culti rivolti da questi ultimi a divinità.

Ovviamente, non possiamo dire che i documenti inerenti ai vici testimoniano esclusivamente la vita degli indigeni del luogo, perché, come abbiamo detto, in essi si mescolavano con i locali anche i cittadini romani.

Tuttavia, dobbiamo pensare che tali vici avessero incarnato, fino all’arrivo dei romani, i centri della vita degli indigeni e, non risultando che da essi gli indigeni siano mai stati cacciati per lasciare spazio ai conquistatori, dobbiamo presumere che una parte della vita sociale ed economica, se non politica, che gli indigeni avevano condotto fino al mantenimento dell’autonomi, si fosse in parte conservata anche dopo l’arrivo dei romani.

Possiamo quindi dire, per queste ragioni, che la vita dei vici testimonia certamente, almeno in parte, quella degli indigeni.” (1)

È interessante osservare che numerose testimonianze epigrafiche documentano questi insediamenti.

L’iscrizione di Lucio Aufellio Rufo

Il Vicus Palatius fu scoperto proprio nei pressi di Cales nella metà del 1800.

Nel 1859, il Novi giustificò il suo interesse per l’area con la ricerca dei frammenti dell’iscrizione del Vicus Palatius.

Parecchi anni or sono era stata trovata un brano di essa nel fondo di Agostino Ferrari.

Il capitano fece rimaneggiare uno sterminato accumulo di rottami deposto lungo la cupa (sentiero).

Dopo lunghe ed estenuanti ricerche, trovò i pezzi mancanti dell’iscrizione.

Intanto, le continue razzie perpetrate dal Capitano Novi insospettirono le autorità locali.

L’intendente della Provincia inviò il giudice del circondario di Capua, Raffaele Pescione, a casa del Novi per un’ispezione.

Il controllo fu eseguito il 29 maggio 1859.

Ci ha quindi condotti in un sottano (stanza terrena) dell’anzidetta sua abitazione, ove ci ha mostrato una statua di marmo giacente su di una tavola, dell’altezza di pal. sette circa senza testa, rappresentante il Dio Bacco, avendo il tirso nella mano sinistra ed una tigre al piede destro.

Indi nello stesso sottano si è osservato una iscrizione lapidaria in marmo bianco di pal. 3,50 per 2,50 del tenor seguente:

L(ucio) Aufellio Rufo
p(rimi)p(ilo) leg(ionis) VII C(laudiae) P(iae) F(idelis)
IIIIvir(o) quinq(uennali)
flamini dìvi Aug(usti)
patrono municip(ì)
vicus Palatius

(C.I.L. X, n.° 4641)

È a marcare che la detta iscrizione è rotta in più di venti pezzi, che quantunque composti, lasciano non però alcuna lacuna.” (2)

Il 2 maggio 1860, D. Agostino Ferrari della frazione Visciano di Calvi trovò numerosi reperti negli scavi del suo fondo.

Tra loro:

4° Si è anche rinvenuta nella distanza di pochi metri dallo scavo una grande lastra di marmo bianco colla iscrizione a caratteri cubitali vicus Palatius (…). (2)

Le caratteristiche della prima iscrizione

L’iscrizione di Aufellio Rufo, databile nella seconda metà del I secolo d.C., fu rinvenuta in un’area oggi identificabile con il centro urbano di Cales

Lucio Aufellio Rufo era un primipilio, ossia un centurione capo della legione Claudia Pia Fidelis.

Nell’antica Roma era il più elevato in rango dei centurioni dell’unità dell’esercito.

Egli partecipava con il legato e i tribuni al consiglio di guerra del generale.

In aggiunta, ricoprì il ruolo di quattuorviro quinquennale, flamine del divo Augusto e patrono del Municipio del Vico Palatius (Cales).

Secondo Giuseppe Guadagno, si trattava di un vicus extraurbano della città localizzabile verso il limite occidentale dell’ager Calenus sulla scorta di documenti altomedievali che menzionano proprietà monastiche “in vico qui Palaczu dicitur“.

Dunque, secondo una ragionevole supposizione l’area rurale ed urbana si identifica con il territorio di Pignataro Maggiore.

Ma il Palatius non era l’unico vicus di Cales.

La firma del ceramista Kaeso Serponius su una patera umbilicata a vernice nera con figurazione a rilievo di tipo caleno databile nel III secolo a.C. attesta un veqo Esqelino (vico Esquilino), evidentemente toponimo della zona dove si trovava l’officina.

Evidentemente i coloni romani dedotti a Cales chiamarono i vici della città con i nomi dei quartieri di Roma.

Bibliografia:
1) Lorenzo Gagliardi, Mobilità e integrazione delle persone nei centri cittadini romani, Milano 2006
2) Michele Ruggiero, Degli scavi di antichità nelle province di terraferma dell’antico regno di Napoli dal 1743 al 1876
3) Iscrizioni, monumenti e vico scoperti da Giuseppe Novi …, Napoli 1861

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