Il valoroso combattente Giovanni Marrapese

Il valoroso combattente Giovanni Marrapese

Giovanni Marrapese nacque a Calvi Risorta il 19 marzo 1922 da Nicandro e Matilde Pomidoro.

Il papà convolò a nozze con Maria Salerno, dalla quale ebbe tre figli: Enrico (1909), Francesco (1912) e Gaetano (1915).

Dopo la morte della moglie, Nicandro si risposò con Matilde Pomidoro ed ebbe altri due figli: Giovanni e Maria (1926).

Giovanni sviluppò un carattere forte, energico, spavaldo, essendo abituato a difendersi dalle prevaricazioni dei fratelli maggiori.

A 16 anni si arruolò come soldato volontario nel Regio Esercito Italiano.

In seguito fu inquadrato con il grado di Caporal Maggiore nelle unità di artiglieria.

Prestò servizio a Roma, Piacenza e Saluzzo in Piemonte nella Divisione Fanteria “Ravenna”.

Nel 1942, allo scoppio delle ostilità con la Russia, si offrì “volontario” per il fronte.

Giovanni Marrapese fu assegnato alla 71° Batteria Cannoni Controcarro del 121° Reggimento Artiglieria Motorizzato.

L’armata italiana ricevette l’ordine di attestarsi lungo il bacino del fiume DON in Unione Sovietica (nell’attuale Ucraina).

Il viaggio verso il fronte si snodò lungo il seguente percorso:

Alessandria, Piacenza, Verona, Trento, Bolzano, Brennero, Austria, Germania dall’ovest ad est, Polonia e cosi via in treno.

Dalla zona della radunata, iniziò poi a piedi, senza sosta, la lunga marcia di avvicinamento al Don, seguendo la direttrice:

KarkowMerefaDnepropetrovskStalinoVorosilovgradBelovodskKantemirowkaFilonovo.

Il 10 agosto 1942, senza riposare, le truppe italiane diedero il cambio ai reparti tedeschi.

Giovanni raccontò successivamente che, appena giunti in Ucraina, si notavano i misfatti compiuti dai nazisti:

  • distruzione
  • scempi
  • uomini appesi per il collo alle isbe
  • povertà estrema

Infatti, i bambini, quasi nudi, mangiavano il dentifricio donato dalle truppe italiane.

L’offensiva russa e il “si salvi chi può”

I nostri soldati presidiavano il settore dell’ansa di Werch Mamon, sulla quale i russi avevano conservato una testa di ponte.

Intanto, il generale d’armata sovietico Nikolaj Fedorovic Vatutin iniziava a preparare l’”Operazione Saturno“.

Il suo l’intento era di travolgere l’intero schieramento dell’Armir.

Contro i militari italiani, i russi scagliarono sette divisioni, tra le quali:

  • due di fanteria, la 1° e la 195°
  • una siberiana, la 44°

appoggiate da circa 500 carri armati T-34 e altre migliaia bocche di fuoco.

L’attacco fu terribile.

I cosacchi siberiani procedevano ordinatamente inquadrati a plotoni affiancati.

Il cannone “Elefantino” di Giovanni Marrapese, un anticarro modello 47/32, faceva grandi vuoti tra le fila russe.

Quest’ultimi, poi, facendosi scudo con cataste di morti, cercavano di avanzare.

Per evitare l’accerchiamento e l’annientamento dell’intero corpo d’armata italiano, i vertici militari diedero il “si salvi chi può“.

Durante la battaglia, il tenente esortò il giovane caleno a lasciare tutto e mettersi in salvo.

Mentre gli altri commilitoni si diedero alla fuga, indietreggiando, lui rimase in linea con il suo pezzo, cannoneggiando.

Alla fine, sopraffatto dalle orde russe e dai carri armati, distrusse il suo cannone.

Poi si diede per morto in mezzo ai militari italiani caduti.

I cingoli dei carri armati russi schiacciavano i morti e procedevano a zig-zag per ridurre in pezzi più corpi possibili.

Ma la fortuna lo arrise.

Nessun veicolo lo schiacciò.

La concessione della croce di guerra

Per la sua valorosa condotta, il generale di corpo d’armata Giovanni Zanghieri gli concesse “sul campo” la Croce di Guerra con la seguente motivazione:

Capo pezzo di una sezione controcarro schierata in un caposaldo di fanteria in difficili condizioni e sotto il nutrito fuoco del nemico eseguiva il tiro del suo pezzo contro carri attaccanti.
Successivamente, essendo stato il pezzo circondato dal nemico, vista la impossibilità di portare in salvo il pezzo stesso, provvedeva a renderlo inservibile, difendendosi con bombe a mano.

Ansa di Mamon (fronte russo) il 17 dicembre 1942/XXI

Giovanni Marrapese, servendosi del goniometro e della bussola, iniziò una marcia in solitaria verso casa sulla direttrice DonFilonovoKarkow.

Il suo lungo viaggio si svolgeva esclusivamente di notte perché i partigiani uccidevano i soldati italiani in fuga.

Inoltre, spesso si affidava alla corsa onde evitare anche il congelamento.

Si cibava con bucce di patate, torsoli di cavoli ed altri scarti alimentari recuperati scavando nella neve sotto i mucchi di letame collocati fuori dalle isbe.

Arrivato in Italia, trascorse un periodo di convalescenza all’Ospedale Militare di Bologna.

Ecco una foto che lo ritrae nel nosocomio emiliano.

Giovanni Marrapese

Tra maggio e giugno del 1943, tornò a casa.

Riprese il servizio militare a Lago Patria.

Ogni mattina, percorreva la Capua – Teverola – Giugliano – Lago Patria in bicicletta per raggiungere la località napoletana.

La cattura da parte dei tedeschi

Nell’ottobre 1943, la famiglia Marrapese (papà, mamma, Giovanni, Gaetano e il missionario Casto) stava mangiando.

Sentendo un po’ di trambusto, Gaetano uscì fuori al Vico Mandara e vide un soldato tedesco.

Tornato in casa per segnalare la sgradita presenza dei crucchi, Gaetano e Casto si precipitarono a nascondersi nel rio Maltempo.

Giovanni invece rimase a protezione dei genitori.

Il militare della Wehrmacht in avanscoperta bussò a casa sua per cercare il fuggitivo.

Una volta aperta la porta, Giovanni gli raccontò di aver combattuto aspramente contro i russi.

Ma il soldato non volle sentir ragioni e lo fece prigioniero.

All’imbocco di Via XX settembre, Giovanni Marrapese fu caricato su un camion e condotto al campo di concentramento di Sparanise.

In attesa del treno che poi lo avrebbe condotto in Germania, fu sistemato nel palazzo Graziadei, di fronte alla stazione.

Ma in serata, con l’aiuto di una scopa e dei compagni prigionieri, riuscì a scappare e tornare a casa sano e salvo.

La vicenda con i soldati anglo-americani

Dopo qualche mese, rimase coinvolto in una bizzarra vicenda con gli anglo-americani.

La famiglia di Giovanni (papà, mamma e nonna materna) abitava “aret’ ‘i caparchi” in prossimità del bar della Famiglia Cristiana.

Nel vicoletto vi alloggiava anche una signora che si intratteneva con i soldati alleati.

Una sera, intorno a mezzanotte, quattro soldati alticci bussarono alla porta della famiglia Marrapese, scambiandola per quella della signora.

Suo papà Nicandro domandò loro cosa cercassero a tarda notte.

I soldati, immaginando che ci fosse un altro cliente, si inferocirono e tentarono di sfondare la porta d’ingresso.

Giovanni prese tre bombe a mano da una cassetta e le lanciò dopo aver rimosso la spoletta con la bocca.

Le bombe SRCM mod. 35, dal botto assordante, esplosero nel cortile e ferirono leggermente i quattro militari.

Il giorno seguente, Giovanni si recò dal comandante dei carabinieri di Calvi Risorta e dal capitano alleato per spiegare l’accaduto.

Le autorità italiane e anglo-americane inviarono il falegname Fioravante Di Girolamo della frazione Zuni a sistemare la porta sfasciata.

Nei suoi confronti non presero alcun provvedimento.

La vita privata

Giovanni Marrapese si sposò con Giuseppa Palmieri nel gennaio del 1944.

Dalla loro unione sono nati 6 figli:
Nicandro (novembre 1944), Tilde (1946), Antonio (1948), Filomena (1954), Anna (1955) e Rita (1958).

Lavorò nella fabbrica di Moccia per poi avviare un’attività di vendita ambulante di frutta e verdura.

Infine, divenne cantoniere e nel tempo libero coltivava la terra.

Giovanni Marrapese

Giovanni Marrapese fu un valoroso combattente anche nella vita.

Dagli anni ’70 iniziò un braccio di ferro con le amministrazioni locali per la copertura del rio Maltempo a Petrulo.

I miasmi provenienti dal rivolo continuavano a rendere insopportabile la vita a tutti quelli che abitavano lì.

E in particolare a lui perché soffriva di broncopneumopatia cronica ostruttiva contratta in Russia.

Nonostante il suo continuo impegno, in cambio riceveva solo promesse.

Finalmente, dopo una lunga battaglia, il torrente fu coperto tra il 1989 e 1990 dall’amministrazione del sindaco Avv. Luigi Izzo.

Giovanni Marrapese. pur avendo un carattere forte ed autorevole, era un uomo dal cuore tenero.

L’insegnante Anna Scola, in occasione della Pasqua del 1973, dedicò all’amico queste belle parole:

Sfidando il costume dei tempi moderni, sotto il paterno tetto i tuoi figli raduni, e li guidi, e li sproni al bene operare.
Mentre se pena ti prende per l’altrui sorte, furtiva lacrima su ciglio ti appare e, ansioso corri ad alleviare quel duolo.
L’amico del popolo ti definisci e, invero, l’amico di tutti tu sei.
Ti piace il giusto, il buono ed il bello, ti piace al debole offrire il tuo braccio, pur se rischio dovesse tua vita minare.

Abbracci il lavoro, ovunque lo trovi per trarne parco, onesto guadagno.

Il 19 ottobre 1992, all’età di 70 anni, ha lasciato la vita terrena.

Tutta la comunità calena lo ricorda ancora con immutato affetto e stima.

© Riproduzione riservata