La tragedia sul lavoro del 1913

L’infortunio sul lavoro del 1913

La pozzolana, nota anche come cenere pozzolanica (dal latino pulvis puteolanus), è un materiale siliceo naturale o siliceo-alluminoso.

La sua denominazione deriva da uno dei principali depositi di cenere vulcanica utilizzati dai romani in Italia, a Pozzuoli.

Tuttavia, con questo nome sono oggi identificate tutte le piroclastiti sciolte anche di origine diversa.

La composizione chimica della pozzolana è variabile e riflette il tipo regionale di vulcanismo.

Il materiale, miscelato con la calce viva, reagisce con l’idrossido di calcio in presenza di acqua a temperatura ambiente.

In questa reazione si formano composti insolubili di silicato di calcio idrato che possiedono proprietà cementizie.

I primi utilizzatori della cenere vulcanica in alcune costruzioni dell’isola di Creta furono i greci nel 2000 a.C.

In Italia le popolazioni di cultura osca-etrusca dell’Italia meridionale introdussero l’uso della pozzolana miscelata con la calce viva.

A questi elementi aggiunsero anche inerti derivanti da frammenti di coccio pesto.

Ma furono i romani a trarre il massimo vantaggio e a sviluppare pienamente il potenziale delle paste di calce-pozzolana.

Vitruvio asserì nella sua opera De architectura:

Esiste una specie di polvere chiamata pozzolana che per natura possiede qualità straordinarie.
Si trova nella Baia di Napoli e nelle terre circostanti il Vesuvio.
Questa polvere mescolata con calce e sabbia rende la muratura talmente stabile che questa indurisce non sono negli edifici normali, ma anche sotto l’acqua

Con il passare del tempo, la pozzolana si estrasse in abbondanza dalle cave situate in diverse località della Campania.

Ancora oggi sono visibili i vecchi siti dismessi.

Alcuni di loro, larghi e profondi anche parecchie decine di metri, sono utilizzati anche come discariche autorizzate o abusive.

La cava del Ponte di Calvi

In passato, nel territorio caleno si rinvenivano alcune cave di pozzolana.

I tufi granulari basaltici, depositati sui banchi tufacei, erano utilizzati nel settore edile.

Purtroppo, in uno dei siti estrattivi, posizionato in località Ponte di Calvi, avvenne un fatto tragico.

Il 6 febbraio 1913 era un giorno come tanti altri.

Verso le ore 10, due carrettieri erano intenti a colmare il carico del secondo carro riempiendo i cesti.

Improvvisamente si staccò dall’alto della parete una grande quantità di materiale che investì in pieno i due malcapitati.

Nonostante il pronto intervento dei presenti per tirarli fuori, non ci fu nulla da fare.

I due operai morti erano:

  • Domenico Scialdone fu Gaetano
  • Carlo Montanaro di Giuseppe

Secondo le indicazioni avute sul luogo, sarebbero rimasti sepolti nei punti indicati con le crocette nello schizzo allegato.

Infortunio sul lavoro

La cava era di proprietà del signor Alfredo De Simone fu Pasquale di anni 45 da Pignataro Maggiore.

Il De Simone affermò che non erano alle sue dipendenze ma lavoravano per conto di un muratore di Pignataro Maggiore.

Egli percepiva 25 centesimi per ogni carro di pozzolana prelevata.

Il giorno seguente, il pretore di Pignataro Maggiore inviò sul luogo dell’incidente l’ingegnere Fedeli in qualità di perito.

Inoltre, il Prefetto di Caserta, con lettera del 17 febbraio 1913 n. 3031, chiese al Regio Corpo delle Miniere di Napoli una visita ispettiva nella cava collocata in località Ponte di Calvi.

Le dimensioni e lo stato del sito

L’ingegnere Adolfo Moschetti e l’aiutante Ing. Liborio Curatolo si presentarono il 19 febbraio 1913 nel sito.

La cava era distante 7 metri circa dalla via Casilina.

Aveva uno sviluppo longitudinale di quasi 16 metri, dei quali 12 paralleli all’asse stradale.

Ma poiché lo stato della cava al momento della visita non corrispondeva a quello rilevato all’atto del distacco, né a quello constatato dal perito giudiziario ing. Fedeli, si dovette ricostituire lo stato dei luoghi al momento della tragedia in base alle informazioni avute.

I riscontri evidenziarono l’assenza di ingrottamento su un versante.

Dall’altro, la parte interrata che si scorgeva per circa 80% di profondità nell’angolo di nord-est era meno marcata.

La parete interessata dall’improvviso crollo, alta 3,5 metri e lunga 3 metri circa, doveva essere coronata da una sporgenza di terreno vegetale e pozzolana dello spessore di circa 80 cm.

Il volume complessivo del materiale franato era di alcuni metri cubi.

Nessuna crepa si osservò sul pendio tale da far supporre il cedimento della massa di pozzolana.

Quindi è da ritenersi che tale crollo fosse da attribuirsi alla mancanza di un sostegno della mensola sporgente.

Il peso del ripiano superava la resistenza apposta dalla forza di coesione che teneva uniti i diversi elementi costituenti la pozzolana.

I tecnici del distretto napoletano obiettarono che:

  • l’esercizio da parecchi mesi delle attività estrattive non fu mai denunciato;
  • il proprietario – esercente non avvertì l’ufficio minerario dell’avvenuto infortunio del 6 febbraio;
  • come pure non chiese né ottenne mai il permesso alla Regia Prefettura di poter eseguire gli scavi.

Le violazioni di legge

Il De Simone, interrogato sui fatti accertati, dichiarò di non aver presentato la denuncia d’esercizio della cava, avendo effettuato solamento un movimento terra per livellare il suo fondo.

Inoltre, per lo stesso motivo non comunicò l’infortunio sul lavoro all’ufficio minerario di Napoli.

Infine, per la medesima convinzione non chiese al Prefetto di Caserta l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva.

Il De Simone fece poi notare di aver sempre ripetuto agli operai di:

  • eseguire lo scavo dall’alto in basso
  • tenere costantemente la parete a scarpata o perlomeno a piombo
  • togliere la parte superiore del fronte anche poco prima del distacco trovandosi sul posto.

I funzionari dell’ufficio minerario di Napoli non elevarono nessuna contravvenzione all’esercente.

A ciò provvide il Pretore di Pignataro in occasione dell’ispezione avvenuta il 7 febbraio 1913 sul luogo della tragedia.

Invece gli ingegneri ritennero l’escavazione, data la sua estensione e profondità, un’attività a scopo industriale e di lucro.

Pertanto, contestarono al proprietario la violazione degli art. 1 e 6 della legge di polizia mineraria 30 marzo 1893 n. 184 e degli art. 1 e 39 del relativo Regolamento 10 gennaio 1907, n. 152.

Il De Simone, infine, fu diffidato a riprendere le escavazioni senza i relativi permessi della Prefettura di Caserta.

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