Il Capitolo della Cattedrale di Calvi

Il Capitolo della Cattedrale di Calvi

Il Capitolo della Cattedrale di Calvi era un collegio di sacerdoti chiamati canonici, che condividevano con il Vescovo l’amministrazione e il governo della diocesi calena.

La sua esistenza ha origini antichissime risalenti all’epoca medievale.

La prima notizia è del 1272 allorché il Capitolo innalzò al soglio vescovile di Calvi il canonico della Cattedrale Gregorio I.

Il Vescovo Fabio Maranta, durante la santa visita al Duomo dell’11 aprile 1583, riferì di aver trovato uno solo canonico addetto al servizio della Cattedrale.

Ottenuto l’indulto del Papa Gregorio XIII, nel 1585 il Maranta coprì otto posti vacanti.

Successivamente, dopo che Gaspar de Haro, marchese del Carpio, si adoperò efficacemente a liberare l’Italia meridionale dal brigantaggio, svolgendo una azione di rinascita sociale e culturale, il numero dei presbiteri salì a nove, cioè otto canonici e un Primicerio fino al 1699, anno in cui Monsignor De Silva ne istituì altri trede jure patronatus” dei Vescovi pro tempore.

Ad imitazione del Collegio degli Apostoli, la chiesa calena era servita all’inizio del settecento da dodici canonici e da cinque ebdomadari.

Il potere del Capitolo era rilevante e non di rado i canonici si resero protagonisti della vita ed anche delle vicende politiche della diocesi.

Nell’anno 1721 furono erette due Prebende: “la Penitenziaria con l’unione di quattro semplici benefici sotto titoli di S. Tambaro, S. Stefano a Corrutto, S. Maria degli Angeli e S. Michele in Burgo; la Teologale similmente con l’unione dei titoli di S. Lorenzo, o S. Maria delle Grazie, e Rettoria di S. Julia a Limata“.

I benefici ecclesiastici furono uniti a due canonicati senza alcuna prerogativa o precedenza ulteriore rispetto agli altri, dovendo i prebendati “sedere nel loro stallo” in base alla loro anzianità misurata dal possesso del canonicato.

Il PRIMICERIO

Al capo del Capitolo, che ad un certo momento assunse il titolo di Primicerio, spettava la più importante autorità nella vita ecclesiastica dopo il Vescovo.

Il Primicerio, unica e prima Dignità, era il Prefetto del Coro, inteso l’insieme del clero.

Tenendolo ben regolato“, vigilava affinché i coristi fossero presenti in numero sufficiente “nella Salmodia e Cantilena acciò il Culto Divino non si diminuisca per negligenza de’ Direttorii“.

Stando così le cose, non dava inizio alle celebrazioni liturgiche con un numero di prelati inferiori a cinque.

Proibiva il chiacchiericcio in chiesa e considerava come assente quel celebrante che leggeva le scritture, dormiva, usciva senza licenza o celebrava la funzione religiosa sottovoce o commetteva altre azioni impertinenti.

Crescendo la contumacia degli inobbedienti“, trasmetteva una relazione al Vescovo.

Curava le pause segnate dagli asterischi nel salmeggiare “osservandosi non senza ammirazione e scandalo de’ Secolari lo scorrere alla rinfusa dell’ufficio Divino“.

Indirizzava i cantori a “restar in Coro a fare il loro uffizio“, scambiando quelli meno necessari al canto piano; gli inosservanti erano multati dalla Curia con la pena pecuniaria di dieci carlini per ogni trasgressione.

Verificava l’osservanza della tabella oraria nel modo più appropriato, “dovendosi soffrire la tardanza de Coristi alle volte per l’intemperie de’ tempi e per la distanza delle loro abitazioni“.

I suoi compiti

Cantava nelle messe solite, come prima Dignità, ed in sua assenza lo sostituiva il canonico più anziano, il quale assumeva anche le veci di Prefetto.

Ed essendo il capo del Capitolo Curato, custodiva i Sacramenti e i Sacramentali, ed osservava scrupolosamente quanto disposto nel rescritto della Sacra Congregazione d’ordine di Innocenzo XIII per una diligente custodia della Santissima Eucarestia.

Inoltre, si occupava della distribuzione degli oli sacri a tutti i parroci della Diocesi.

A tal proposito, annotava in un libro il giorno, il nome e il cognome del ricevente gli oli anzidetti, che doveva essere perlomeno un Chierico costituito in Sacris, “con serrare a chiave le cassettine e sugellarle in un plico nel rimandarle indietro“.

Secondo un’antichissima consuetudine della nostra Cattedrale, il Primicerio convocava il 21 maggio di ciascun anno il Capitolo Generale per l’elezione con votazione a scrutinio segreto “di tutti gli Ufficiali soliti“.

Qualora le persone nominate avessero avuto problemi con la legge, la loro elezione sarebbe stata invalidata.

A questi ufficiali spettava l’autorità sia nel campo della conduzione della vita collegiale che in quello finanziario.

Il TEOLOGO

Il canonico Teologo, Prefetto dei Casi Morali e dei Sacri Riti, durante la messa cantata domenicale e subito dopo il Santo Vangelo, eseguiva la spiegazione della Sacra Scrittura con l’assistenza di tutti i ministri di Dio attingendo dallo stesso libro la materia più proficua per i congregati.

Ai prelati assenti si applicava la puntatura (multe in denaro inflitte ai sacerdoti che non partecipavano alle funzioni corali).

Nell’arco di un anno e per quaranta lezioni, commentava con il giusto metodo il sacro testo, “principiando dalla lettera, indi a Sensi mistici e conchiudere col morale per non confondere la spiega scritturale colle Prediche Quaresimali“.

La vacanza Conciliare riguardava il periodo quaresimale e parte del solleóne (tra il 23 luglio e il 22 agosto), oppure lassi di tempo a discrezione dei vescovi caleni pro tempore.

Presiedeva la Congregazione dei casi morali, che si teneva ogni lunedì con l’intervento dei canonici, degli ebdomadari e di quelli del Seminario, in base alle indicazioni tratte dal titolo adunanze canonicali.

In caso di assenza per legittimo impedimento o infermità del Penitenziero, il Teologo lo suppliva nel confessionale maggiore.

Invece, in caso di morte del Penitenziero, lo si sostituiva con un “altro a nostro arbitrio colla solita mercede di un carlino al giorno da pagarsi con i frutti di detta prebenda vacante, come si pratticò ultimamente“.

Deteneva presso di sé l’indice dei libri proibiti e dei gravi espositori della Sacra Scrittura per svolgere il proprio compito con diligenza senza commettere errori.

Il PENITENZIERO

Avendo riposta “la nostra sede vescovile tutta la speranza del regolamento delle coscienze sopra la perizia del canonico penitenziero di questa diocesi“, doveva possedere nella libreria i testi dei moralisti classici affinché tenesse “la via di mezzo, non lassi per raffrenare la libertà nell’operare e non rigorosi, per non rendere disperata la via della salute“.

Sedeva continuamente nel suo confessionale della Cattedrale calena in tutti i giorni festivi, il giorno delle Ceneri, i venerdì di marzo e durante il tempo del precetto pasquale pronto ad ascoltare le confessioni dei fedeli.

Inoltre, non poteva lasciare il posto, se prima il popolo non fosse rimasto soddisfatto, sotto la pena della puntatura ricavata “dall’intiera terza parte dei frutti“.

Estirpava gli abusi di cose sacre, i peccati abituali e curava i pubblici peccatori già “castigati da’ Superiori“, rimettendo alla propria coscienza tutto quello che non sarebbe stato riparato per sua negligenza.

Per udire le confessioni, in aggiunta, gli era concesso di usare e tenere nelle mani la verga.

Il SACRISTA MAGGIORE

Il Vescovo, oppure il Capitolo medesimo, ogni anno o quando lo riteneva opportuno delegava un presbitero a svolgere la mansione di Sacrista Maggiore attribuendogli uno stipendio “a misura della sua fatica“.

Il reggente era coadiuvato da un sacrista minore, scelto tra i chierici o tra quelli in “abito modesto e religioso“.

Il sacrista fu incaricato di esigere dall’Agente Generale della Mensa Vescovile e dal Procuratore del Capitolo le antiche rendite della sacrestia al fine di utilizzare le somme ricavate per l’acquisto di suppellettili della chiesa calena.

Nel 1686, durante il vescovato di Monsignor De Silva, il Duomo di Calvi fu dotato di armadi, spalliere di noce, parati pontificali, calici d’argento ed altro a spese per un terzo della Cappella del Santissimo Sacramento, un terzo del Capitolo e un terzo della Mensa Vescovile “con i frutti de’ beni della Sacristia“.

Perciò, si ordinò senza indugio la restituzione dei beni costringendo i beneficiari a pagare lo jus Sacristiae.

I suoi doveri

Assisteva dal mattino alle funzioni sacre fino alla fine tenendo sempre esposto il libro delle messe cantate e piane, che presentava nelle sante visite al Vescovo per l’approvazione.

Non permetteva ai laici di entrare nella sacrestia, tranne a coloro che servivano la messa.

Vietava ai sacerdoti di confessarsi con “pianeta, tunicella o cotta” e di celebrare le funzioni in abito corto o veste breve e con scarpe immonde.

Imponeva l’osservanza delle costituzioni diocesane e degli editti vescovili, e il rispetto con scrupolo ed esattezza della tabella oraria facendo suonare la campana nell’ora stabilita.

Essendo la cura delle anime penès Capitulum (nelle mani del Capitolo), in una comoda stanza allestita al piano superiore a spese dell’ente fu obbligato a risiedere nella Cattedrale un canonico o un sostituto sacerdote “per trovarsi pronto di giorno e di notte, non solo per i bisogni improvvisi delle anime ma altresì per evitare che i Sacramenti e i Sacramentali non rimanessero in custodia di un Romito per lo più forestiero“.

Accettando di risiedere nella Cattedrale, il canonico assumeva il titolo di Sacrista Maggiore e godeva degli emolumenti spettanti al sostituto, che era amovibile.

L’ARCHIVISTA

Il Primicerio deteneva “ab antiquo” il ruolo dell’archivista.

Costui teneva in ordine le scritture presenti in archivio e conservava nel medesimo luogo il Sigillo Capitolare in una cassetta di ferro con due chiavi, una in possesso dell’Archivista Primicerio e l’altra del Segretario del Capitolo.

Al conservatore, inoltre, si consegnavano in scriptis l’indice, l’inventario o il registro di tutte le scritture, le Platee e i libri.

I diritti di copia per le scritture, fedi o altro rilasciate dall’archivio spettavano al Capitolo.

Rinnovava ogni ventinove anni le enfiteusi, chiamate dalle nostre parti rendite, “per l’utile grande puol’apportare con li laudemii, e devoluzioni alla Menza Capitolare“.

I beni non potevano concedersi senza licenza e le assegnazioni fatte in precedenza erano dichiarate nulle “per essere state queste nuove investiture per picciola bagattella ad amici o a parenti la rovina del Capitolo“.

Il MAESTRO DI CERIMONIE

Il Maestro delle Sacre Cerimonie organizzava e sovrintendeva ai riti sacri.

Gli errori eventualmente commessi da un ecclesiastico erano imputati a lui se non li avesse opportunamente corretti.

Invitava a tenere “le lezioni e responsori avanti del leggile in mezzo del coro, osservando sempre l’ordine delle rubriche medesime, secondo la norma del cerimoniale” e esortava ad intonare un Salmo “cantandosi, da due, o almeno da uno, acciocché non si pigli fuor di tuono, né con voci dissonanti“.

Compilava la tabella di tutte le funzioni della chiesa e suddivideva i compiti tra gli officianti con il consenso del Primicerio.

Per le solenni festività, aveva l’obbligo di avvisare otto giorni prima i religiosi affinché adempiessero al loro ufficio.

Coordinava tutte le funzioni attenendosi al cerimoniale ufficiale, avendo necessariamente con sé i libri del Gavante, Castaldo e Baultrio, e vigilava sulla direzione delle Processioni notando “i difetti intorno alla modestia, silenzio e compostezza nel camminare di ciascuno unito con il suo collega“.

Non permetteva ai celebranti di tenere guanti, manizze ed altre cose indecenti nel luogo sacro e si impegnava a far rispettare “i riti da coristi nell’alzare, sedere, inchinare e cavar beretta, e che ogni azione vadi unita, e modesta“.

I dodici canonici erano obbligati a perfezionare la conoscenza del canto gregoriano “procedendosi contro i contumaci alla sottrazione dei frutti e distribuzioni“.

Inoltre, disponevano di un’uniforme insegna e indossavano ab immemorabili il rocchetto (una sopravveste bianca, solitamente di lino, con pizzo e lunga fino al ginocchio), e di sopra la mozzetta cocollata, cioè munita di cappuccio, di color violaceo al di fuori con fodera di seta rossa intensa ornata intorno di ermellino e ferrata avanti al petto con bottoni rossi.

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