Le violenze dei soldati alleati sul suolo caleno

Le violenze dei soldati alleati sul suolo caleno

L’arrivo degli inglesi sul suolo caleno il 23 ottobre 1943 non portò ad una “vera liberazione”.

Anzi, fu l’inizio di un vero e proprio incubo.

Calvi Risorta, nonostante avesse una popolazione di 4052 anime in base al censimento del 1936, divenne un’enorme base militare.

I soldati di sua maestà occuparono ogni angolo del paese.

Ma anche nelle campagne circostanti allestirono grandi campi militari.

Intanto per le strade della cittadina adatte solo al passaggio dei carretti si vedevano camion, carrarmati, jeep e mezzi cingolati.

Tutti i mezzi, pur con qualche difficoltà, si muovevano secondo le esigenze di una guerra.

In paese poi giravano soldati di tutte le razze.

Tra loro, spiccavano uomini barbuti con il codino intrecciato e il burnus a righe.

I Goumiers, dunque, erano truppe coloniali irregolari francesi appartenenti ai Goums Marocains.

Il reparto, delle dimensioni approssimative di una divisione ma meno rigidamente organizzato, costituiva il CEF (Corps Expeditionnaire Français).

Inoltre, in via Taverna Mele, nei pressi dell’omonima locanda, erano accampati addirittura i soldati di colore.

Complessivamente, la condotta delle truppe alleate, come suggeriscono le testimonianze, si rilevò di una ferocia primitiva.

Al contrario, nei quasi 40 giorni precedenti, il comportamento dei soldati della Wehrmacht sul territorio caleno fu profondamente rispettoso nei confronti del gentil sesso.

Difatti, i tedeschi non sfiorarono nemmeno lontanamente le giovani donne calene anche perché le famiglie tennero nascoste le figlie femmine.

La tentata violenza a Visciano

Diversi eventi spiacevoli si verificarono con i “presunti liberatori” nel corso dell’autunno del 1943.

Alcuni di loro avevano scosso profondamente la vita della comunità calena.

La notizia di una violenza carnale tentata da alcuni soldati marocchini nei pressi di un pozzo si era rapidamente diffusa.

Come si vede in questa foto d’epoca, la cisterna adesso non esiste più.

Violenze

I parenti della donna accorsero sul luogo del misfatto e uccisero un goumier con il tridente.

Gli altri furono messi in fuga.

Invece, secondo alcuni testimoni oculari, tra i quali il compianto Giovanni Leone detto “Magone”, i fatti si svolsero diversamente.

La signora coinvolta si chiamava Teresa e negli anni successivi alla guerra emigrò in Canada.

Mentre attingeva l’acqua dal pozzo di Piazza Garibaldi, un soldato marocchino le alzò la gonna per tentare un approccio sessuale.

Immediatamente, un militare italiano presente sul posto intervenne in sua difesa.

Ma il marocchino gli sferrò un pugno in faccia, procurandogli una vistosa perdita di sangue dal naso.

Il malcapitato si avviò lungo via XI Febbraio in direzione dei Martini.

Fatti pochi passi, svoltò a destra in un vicoletto cieco e stretto dove vi era la “frasca”.

La frasca era un ramo con foglie collocato all’ingresso delle osterie come avviene oggi con le moderne insegne.

Nella cantina chiese aiuto a due suoi commilitoni intenti a bere del vino.

Usciti prontamente in strada, uno dei due, un sardo, tirò fuori un coltellino e ferì al collo il marocchino.

Arrivato barcollando alla “masseria o conte”, il goumier stramazzò al suolo e morì pochi istanti dopo probabilmente colpito alla giugulare.

I tre soldati intervenuti in soccorso della donna appartenevano alla “Compagnia dei Pompieri“.

Erano dislocati a Calvi lungo la strada per Sparanise e svolgevano servizi antincendio dell’oleodotto americano.

L’episodio di nonna e nipote

Il professor Bruno Mele in un suo scritto menzionò altre violenze.

Qualche giorno dopo l’Ognissanti, una nonna e la nipote si avviarono lungo la ferrovia nei terreni fertili dell’agro caleno.

Lì era più facile rimediare qualcosa da cucinare.

Ma per raccogliere erbe ed olive dovevano guardare per terra mentre passavano da una pianta all’altra.

Quindi, non potevano tener d’occhio anche il pianoro, a cui prestavano poca attenzione proprio perché non avevano timori di sorta.

Le avevano però seguite, scivolando come felini da un albero all’altro, alcuni Goumiers, che si erano avvicinati a loro dopo averle osservate di lontano ed essersi accertati che erano davvero sole.

Quando furono a breve distanza cominciarono a sghignazzare e gelarono le due malcapitate, che all’improvviso avevano visto quelle facce scure e ne avevano intuito le intenzioni.

La nipotecominciò a gridare prima ancora di dimenarsi mentre veniva afferrata brutalmente da due soldati e trattenuta ed un terzo provvedeva a strapparle gli indumenti.

Gridava come è facile immaginare per una fanciulla che presente la terribile violenza che come bestie i Goumiers stavano per consumare.

Ma erano grida tanto disperate quanto più inutili perché nessuno sarebbe accorso a portarle aiuto.

I violentatori erano belve armate mentre tra i contadini non c’era un gruppo ugualmente armato per affrontarli.

E poi dove avrebbero trovato il coraggio per accorrere a proprio rischio e pericolo in soccorso di due donne che neppure conoscevano?

Quelli dell’episodio vicino al pozzo erano parenti stretti delle donne in pericolo, ma quelli dei casolari lungo la ferrovia avrebbero dovuto trasformarsi in eroi per la circostanza, e l’eroismo strettamente inteso era una virtù che mancava in quell’ambiente agreste.

E così qualcuno che udì le invocazioni disperate si limitò solamente a diffondere i particolari della violenza sulle due sventurate.” (1)

Altri fatti spiacevoli

Un altro episodio raggelante avvenne nelle campagne calene.

Questa volta lo squallido protagonista fu un soldato di colore.

Il farabutto aveva trascinato una donna in un fossato per violentarla.

Immediatamente, si avvicinò il figlio di quest’ultima e lo freddò a colpi di pistola.

Sempre secondo Bruno Mele, la donna “vide e sentì ammosciarsi d’improvviso ogni cosa.

Dovette poi attendere anche la rimozione del cadavere ad opera del figlio vendicatore mentre lei era in quella incresciosa posizione.” (1)

In quel periodo, poi, vi fu una crescita esponenziale del fenomeno della prostituzione occasionale.

Negli accampamenti allestiti fuori dal centro abitato, le donne si infilavano con qualche scusa nelle tende.

Alcune di loro erano vedove, altre con i fidanzati o i mariti prigionieri o dati per dispersi.

In preda al collasso economico e morale, le donne si resero disponibili a vendere il proprio corpo pur di sopravvivere.

Lo scopo era di racimolare soldi ma soprattutto di accaparrarsi beni di prima necessità.

Un corrispondente di guerra e autore di storie popolari scriveva:

La fame dominava su tutto […] Di fatto stavamo assistendo al crollo morale di un popolo.
Non avevano più nessun orgoglio, né dignità.
La lotta bestiale per la sopravvivenza dominava su tutto.
Il cibo era l’unica cosa che importava: cibo per i bambini, cibo per se stessi, cibo a costo di qualsiasi abiezione e depravazione.
E dopo il cibo un po’ di caldo e un riparo.
” (2)

La reazione violenta degli abitanti

Intanto, le voci sempre più insistenti sulle nefandezze commesse dalle truppe alleate iniziarono a fare il giro del paese.

Le donne, soprattutto, cominciarono a temere qualche sgradita sorpresa poiché non sempre nei paraggi erano presenti uomini pronti a difenderle.

E così i familiari adottarono tutte le misure necessarie per proteggere le loro figlie dalle violenze.

Ai Martini di Visciano tre o quattro soldati marocchini andavano alla ricerca di ragazze per fare sesso.

Un padre di famiglia, aiutato da alcuni parenti di Sparanise, riuscì a portarsi dentro casa uno di loro.

Il goumier fu ammazzato e sepolto sulle montagne di Visciano.

Uno dei giustizieri era una persona stimata in paese ed abitava in prossimità della chiesa.

Le atrocità commesse nel basso Lazio

Il 14 maggio 1944, con l’operazione “Diadem” i goumiers aggirarono linee difensive tedesche nella valle del Liri.

La mossa consentì all’armata britannica di sfondare la “linea Gustav” e di avanzare fino all’altro baluardo predisposto dalle truppe tedesche.

In seguito a questa battaglia, il generale Alphonse Juin avrebbe dato ai suoi soldati cinquanta ore di “libertà”.

“Soldati!

Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia.

Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro.

Tutto ciò sarà vostro se vincerete.

Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo.

Quello che vi ho detto e promesso mantengo.

Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico.

Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete. ”

In altre parole, il comandante Juin concesse ai soldati marocchini il diritto di preda.

Questi farabutti, emblema dello squallore e della feccia umana, diedero sfogo ai loro istinti bestiali e animaleschi.

Come ampiamente documentato, le truppe coloniali francesi si macchiarono di stupri di gruppo, uccisioni, saccheggi e violenze di ogni genere perpetrati ai danni della popolazione italiana e del basso Lazio in particolare.

Senza dubbio, gli ufficiali alleati avrebbero potuto controllate e disciplinate le efferatezze e le scorribande di questi autentici carnefici.

Bibliografia:
1) Bruno Mele, Il binario dei mesti sorrisi, Il Mezzogiorno, 2010
2) Alan Moorehead, Eclipse, London, 1945, pp. 62-63

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